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L’Amazzonia continua a bruciare nel silenzio del mondo. Napoli Animal Save lancia l’allarme! (VIDEO)

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NAPOLI – Nel silenzio la più grande area forestale del mondo, polmone del pianeta e casa di migliaia e migliaia di specie animali e vegetali continua a venire messa alle fiamme, deforestata, distrutta, minacciata unicamente per i profitti di pochi.

Negli ultimi 10 anni, sono stati persi circa 300.000 chilometri quadrati di foresta amazzonica, pari all’intera superficie dell’Italia. Nello stesso arco di tempo sono stati tagliati, andati in fumo o degradati oltre 170.000 km quadrati di foresta primaria, quella più preziosa e ricca di biodiversità, la maggior parte della quale in Brasile.

A giugno del 2019 l’Unione Europea ha firmato il trattato commerciale di libero scambio Mercosur il quale comporterà gravi ripercussioni sulla distruzione dell’Amazzonia e di altre foreste tropicali sudamericane:

-Il trattato elimina i dazi sulla maggior parte delle esportazioni dall’Unione Europea e Mercosur, questo significa maggiore produzione e quindi maggiore deforestazione per garantire materie prime.

-Le popolazioni indigene, a causa delle multinazionali che usurpano l’amazzonia per interessi commerciali, sono in pericolo e rischiano di non avere più una casa.

-Non c’è nessun meccanismo di sanzione in caso di violazione sulle commodity agricole che causano la deforestazione.

-Ogni anno avvengono numerosi incendi illegali per la conversione delle terre per uso agricolo, in particolare per soia da destinare ad allevamenti di bovini.

Secondo i dati dell’Università del Maryland pubblicati su Global Forest Watch, nel 2019 le aree tropicali del pianeta hanno perso 11,9 milioni di ettari di superficie forestale, di cui 3,8 milioni di foreste primarie: l’equivalente di un campo da calcio ogni 6 secondi, per tutto l’anno. Una distruzione che ha prodotto 1.8 gigatonnellate di anidride carbonica, pari alle emissioni in un anno di 400 milioni di auto.

L’Amazzonia da polmone del mondo sta diventando la “Repubblica della soia”: una distesa di milioni di ettari dedicata unicamente alla coltivazione di questo legume. Che però, non confondiamoci, non andrà a finire sulle nostre tavole sotto forma di tofu, bevande vegetali, tempeh o edamame. Bensì nelle mangiatoie di miliardi di polli, galline e maiali di tutto il mondo. Di tutta la soia prodotta a livello mondiale, il 70%, è infatti destinata agli allevamenti intensivi.

Il nostro Paese acquista 27mila tonnellate di carne dal Brasile ogni anno, posizionandosi così come primo Paese in Europa per importazioni di carne bovina brasiliana. Carne a buon mercato che però nasconde un costo ambientale altissimo, per non parlare della sofferenza degli animali stessi. In Italia la carne brasiliana viene usata in buona parte per la produzione a marchio IGP: la bresaola ad esempio, uno dei prodotti italiani più consumati e esportati all’estero, può essere fatta con zebù brasiliano, a patto che si rispetti il disciplinare. Ad oggi il 70% della carne per la produzione di bresaola IGP utilizza materia prima proveniente dal Sud America. Il sistema intensivo di produzione di carne, che sia in Brasile o in Italia ha un unico scopo: massimizzare il profitto a scapito della salute degli animali, del Pianeta e la nostra.

Ed ecco quindi che gli attivisti e le attiviste di Napoli Animal Save il giorno 12 Febbraio si sono recati presso l’ambasciata del Venezuela per stabilire un dialogo verso tutte quegli stati che confinano con l’Amazzonia. Attraverso una performance artistica, l’attivista Connie Dentice ha in mano delle fiamme, a rappresentare il fuoco che arde vivo e brucia crudelmente le centinaia di alberi (le mani dipinte di verde degli attivisti e delle attiviste presenti) che sono in quella foresta da secoli.

È chiaro che al Brasile non importa molto della salute del più grande polmone della Terra. Nella foresta amazzonica oltre a tantissime specie animali, abitano anche molte popolazioni indigene che a causa degli incendi non avranno più una casa. Chiediamo al Venezuela di porre un dialogo con il Brasile, di porre maggiori attenzioni nei confronti di questo grande polmone. Dato che dal primo dicembre 2010 si impegna a rispettare il Protocollo di Kyoto e gli accordi intrapresi dall’Organizzazione delle Nazioni Unite riguardo al clima e all’ambiente, ci aspettiamo che il Venezuela si occupi anche del problema che tormenta l’amazzonia. Rispettare il pianeta è un dovere di tutti. Se muore una parte del pianeta, moriamo anche noi.

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