NAPOLI – Colpisce bambini e adolescenti a distanza di due fino a sei settimane dall’infezione acuta da SARS-CoV-2. La Sindrome Infiammatoria Multisistemica (Multisystem Inflammatory Syndrome in Children, MIS-C), una rara e severa complicanza del COVID-19, caratterizzata da febbre alta e da sintomi gastrointestinali, nella quale possono essere coinvolti cuore, reni e polmoni, ha una predisposizione genetica. A scoprirlo il gruppo di ricerca del CEINGE-Biotecnologie avanzate di Napoli, guidato da Giuseppe Castaldo, professore di Scienze Tecniche di Medicina di Laboratorio presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II. Lo studio, finanziato dalla Regione Campania e svolto in collaborazione con l’Unità di Pediatria d’Urgenza, Pronto Soccorso e Terapia Sub-intensiva e quella di Cardiologia Pediatrica dell’Ospedale Pediatrico di Rilievo Nazionale Santobono-Pausilipon di Napoli, dirette da Vincenzo Tipo e Michela Grieco, risolve due quesiti di fondamentale importanza per la diagnosi e la cura dei piccoli pazienti: perché solo in alcuni bambini insorge la Sindrome Infiammatoria Multisistemica dopo il COVID-19 e se è possibile intervenire in maniera rapida ed efficace per contrastare la malattia.
Alla prima domanda i ricercatori hanno risposto con un lavoro pubblicato sulla rivista scientifica Frontiers in Immunology*: esiste una predisposizione genetica nei bambini colpiti da questa grave sindrome. «Sono stati analizzati 45 casi di pazienti ricoverati al Santobono e, grazie all’utilizzo di strumentazioni di ultima generazione presenti al CEINGE, siamo giunti a risultati che mostrano chiaramente come la MIS-C sia associata a mutazioni nei geni già implicati nelle malattie auto-immuni ed auto-infiammatorie», spiega il professor Castaldo. «Succede che durante la fase acuta dell’infezione COVID-19, nei bambini portatori dei tratti genetici descritti non avviene una eliminazione completa del virus. Ciò provoca il danno dei tessuti e innesca la risposta immunitaria iper-reattiva tipica della Sindrome», chiarisce ancora Castaldo.
La risposta alla seconda domanda è contenuta in un lavoro pubblicato su Metabolites**. L’identificazione tempestiva nei piccoli pazienti delle mutazioni, mediante l’utilizzo di biotecnologie avanzate, diventa fondamentale per un management terapeutico personalizzato. I ricercatori hanno focalizzato la loro attenzione sugli eventi di vasculite endoteliale che, insieme allo stato infiammatorio acuto, rappresentano segni distintivi del COVID-19 e della MIS-C e possono causare eventi di trombosi venosa/arteriosa. I risultati di questo studio hanno permesso di identificare alcune proteine coinvolte nei processi di danno endoteliale come potenziali biomarcatori della MIS-C, quali la chemochina MCP-1, il fattore VEGF-A e gli anticorpi Panca. «Il dosaggio di tali proteine – afferma Giuseppe Castaldo – permetterebbe non solo di diagnosticare la MIS-C, ma anche di individuare un potenziale sviluppo di vasculite. E, cosa molto importante, l’identificazione precoce dei pazienti con danno endoteliale consente di stabilire terapie specifiche personalizzate, come la profilassi con anticoagulanti, immunomodulatori e/o farmaci anti-angiogenici».