SALERNO – “Sogno di un’ombra l’Uomo” scrive Pindaro nell’VIII Pitica, circa la condizione di assoluta precarietà dell’uomo e la luce che può o meno colpire questa “creatura d’un giorno”. Filippo Fundarò, Angelo Soldani, Green Pino e Doddo D’Ambrosio, presso gli spazi della Galleria Camera Chiara di Armando Cerzosimo, in via da Procida 9, riaccendono le luci sul segno artistico di Ciro Fundarò, a sei anni dalla sua scomparsa, attraverso trenta immagini in formato 50×75 e 30×75 raccolte in un’esposizione dal titolo “Ciro – l’illusione dell’ombra”. Un racconto per immagini che nasce dal ritrovamento improvviso e inatteso di due video, da parte di Green Pino, in cui Ciro e Armando Cerzosimo provano a definire le ragioni estetiche del proprio lavoro, della loro scelta di vita. Di qui l’impegno di allestire questa mostra, che vivrà il suo vernissage sabato 8 ottobre alle ore 19, e che sarà fruibile in orario d’apertura della galleria (ore 9,30-13 /18-20,30 nei giorni lavorativi escluso domenica 9 ottobre), con finissage fissato per venerdì 14 ottobre ore 22,30.
La fotografia, quale scrittura di luce, vede così illuminare una vita in tutti i suoi contrasti. Scorrendo rapidamente le immagini di Ciro Fundarò non si può non rimanere colpiti dalla varietà di stili e maniere con cui riesce a catturare il nostro sguardo. Così, ritratti di fattura classica, testimonianze dirette e fattuali, fotografie deliberatamente preparate o provocate, scatti realizzati nella grande tradizione umanista, si succedono e si incrociano in un insieme che punta ad una visione totale del soggetto, in un flou dallo “charm distant” per dirla con Debussy e il suo senso dell’ “impossibile felicità”. Ciro sembra condensare, pertanto, in ogni occasione la fremente realtà vitale di un’arte, nel gesto e nel movimento stesso della creazione.
Se nei video ritrovati, che verranno proiettati nel corso del vernissage, Armando e Ciro concordano su di una fotografia del “fare”, in cui si usano le mani, materiale, un verbo che apre a tutto, anche alla “poesia” che proprio da quel poiein deriva condividendone la radice, entrambi esponenti di quel dare testimonianza della presenza delle cose, nonché di rendere sensibile lo spazio che le separa e che le tiene unite; la fotografia è, per Ciro, una finzione, ma solo istantanea, la quale più che raccontare una storia, rivela il momento in cui la storia nasce, attraverso l’occhio del fotografo, che imprime il suo personale segno attraverso l’obiettivo. Il reale, al contrario, affascina grazie all’imprevisto, all’inverosimile, all’impossibile, all’ombra mai aperta al quale è legato, esattamente come il fotografo che spia l’istante stesso in cui esso nasce. Un qualcosa questo, mai privo di pathos, nel senso di passione, amore e dolore, come ogni arte.
Ecco l’illusione dell’ ombra, semplicemente per riaffermare che il lavoro di un cacciatore di immagini coerente non finisce con lo “scatto”, ma si fa carico della responsabilità e dell’autorità della fotografia, ovvero di quel lavoro di memoria che costituisce quell’altro aspetto del reale “impossibile”. Perché tutte queste finzioni istantanee il fotografo le conserva e può indicarne il senso, il luogo, il momento, la luce, gli accidenti. Una tale memoria è un fardello ma, pur tuttavia, non intacca in nulla la cosa che vive e che passa.
Ora, le fotografie di Ciro Fundarò, gli sguardi e i volti dei soggetti in esse impressi, ci racconteranno del loro fotografo, di un obiettivo empatico, sapiente, eclettico. Si deve restituire all’artista la libertà, la “luce” che regala al nostro sguardo. Gli dobbiamo un certo alleggerimento. È necessario lasciare, che le immagini del passato, escano dalle loro scatole, dall’ombra, “traghettate” verso la luce, per r(i)-esistere insieme al loro autore.