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Al Piccolo Bellini il Collettivo lunAzione presenta “La misura” dal 2 al 7 maggio

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NAPOLI – Dal 2 al 7 maggio al Piccolo Bellini il Collettivo lunAzione sarà in scena con “La misura”, progetto e regia di Eduardo Di Pietro, con Martina Di Leva e Marco Montecatino. Lo studio dello spettacolo ha vinto il bando (H)eartH – Ecosystem of art and theater, ha il sostegno di Teatri Associati di Napoli, Teatro Elicantropo, Teatro Bellini, Pim OFF, Teatro Civico 14 ed è stato finalista per il festival I Teatri del Sacro 2019.

Nella primavera del 2018 i giornali raccontano di un uomo modenese che all’età̀ di 82 anni si laurea in Filosofia: si tratta di Italo Spinelli, un appassionato e brillante operaio in pensione. Dopo 52 anni di matrimonio, la moglie Angela è venuta a mancare e da allora Italo non ha più̀ avuto pace: «ho cominciato a chiedermi: “La rivedrò̀?”, “Dove è finita?”. O ancora: “Ce l’abbiamo davvero un’anima?”». Angela manca troppo e Italo desidera trovare delle risposte.

Prende così a seguire i corsi online dell’Università̀ di Macerata. Il percorso accademico, pretesto per addomesticare il dolore, diviene un’opportunità̀ per comprendere sé stesso e per misurarsi con gli interrogativi della finitezza umana.

“La misura” coniuga teatro di figura e una componente di prosa mediante un attore, un’attrice e una marionetta a taglia umana nel ruolo dell’ottantenne Italo. I due interpreti sono attori ed animatori, partendo dalla vicenda di Italo Spinelli per parlare anche di sé e dei quesiti intorno all’immateriale, l’anima, l’aldilà. Marionetta e costumi sono di Barbara Veloce, il progetto sonoro di Tommy Grieco mentre Andrea Iacopino firma il disegno luci.

Note di regia

La vicenda reale di Italo Spinelli ispira un lavoro sulla formazione che conduce il protagonista oltre la consuetudine della materia, in un mondo nuovo, uno spazio intellettuale mai esplorato. Il vecchio Italo si addentra come un ideale Orfeo nei meandri dello spirito, con la speranza di raggiungere l’ombra della sua Euridice.

A dispetto dell’età, l’uomo non perde, anzi accresce la propria urgenza di sapere. Il suo viaggio diviene metafora della vita stessa che, di fronte alla morte, s’interroga per trovare un significato. Nella sua essenzialità, chiedersi cosa ci sia dopo – per amore, – rappresenta la domanda. L’indagine esistenziale di Italo, in forme e gradi differenti, è quella connaturata alla condizione di ogni essere umano e riflette i grandi topoi del cammino di formazione e della ricerca metafisica. Il fascino di Italo sta nell’eroismo disperato del proprio cimento, in una pacata hybris che prova a trascendere i limiti dell’inconoscibile.

Sulla scena Italo è una marionetta ibrida a taglia umana. I suoi interrogativi sull’anima riecheggiano in Marco, l’animatore alle sue spalle che parla al pubblico, dispiegando parallelismi tra le esperienze di perdita di entrambi. In equilibrio sul baratro della mancanza e della solitudine, i dubbi, il rammarico e l’urgenza di risposte si moltiplicano e si genera una mise en abyme che sprofonda entrambi nella paradossale impossibilità di sapere dell’essere umano.

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