È stato il Presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, a dare ufficialmente il via alla cinquantatreesima edizione di Giffoni Film Festival. Nella piazza della Cittadella del Cinema il simbolico taglio del nastro affidato ad un cartello di benvenuto. Ed è la Regione Campania che accoglie gli oltre 6500 giurati che da oggi affollano Giffoni e che partecipano alle centinaia di attività che compongono il programma dell’edizione, tra i più ricchi di sempre.
Ad accogliere Vincenzo De Luca una folla festante. Tanti selfie, strette di mano, sorrisi, tutto sotto il sole rovente di queste ore. Numerosi i sindaci che hanno partecipato al momento inaugurale di #Giffoni53, provenienti da ogni parte della Campania a conferma di come Giffoni, oltre al respiro internazionale che da sempre lo caratterizza, non abbia mai perso di vista il contesto territoriale nel quale si muove.
Calorosa la stretta di mano con il fondatore di Giffoni, Claudio Gubitosi. Al photocall scatti di rito con il direttore generale di Giffoni, Jacopo Gubitosi, con Pietro Rinaldi, presidente dell’Ente Autonomo Giffoni Experience, con il primo cittadino di Giffoni Valle Piana, Antonio Giuliano. Tra le altre autorità presenti il presidente della Provincia di Salerno, Franco Alfieri, il consigliere regionale Andrea Volpe. E, ancora, cordialità con il Garante per l’infanzia e l’adolescenza, Carla Garlatti,
“È più di mezzo secolo che godiamo di questo evento – ha dichiarato Vincenzo De Luca – È un evento rivolto alle giovani generazioni che parla di futuro, di un mondo nuovo. Questo evento, il Giffoni Film Festival, è altrettanto importante perché è ispirato ai valori della solidarietà, dell’incontro tra giovani di diversi popoli, culture, religioni, che è il messaggio che dovremo far passare nel mondo contemporaneo: non c’è salvezza senza dialogo e convivenza tra i diversi”.
A seguire il passaggio in Sala Truffaut ed il messaggio rivolto ai juror delle sezioni Generator +13 e +16: “Il valore oggi di Giffoni – ha detto – è il segnale di speranza per il futuro che da qui parte. Vorrei che arrivasse anche da Giffoni il messaggio che come Regione Campania abbiamo lanciato già dal 28 ottobre scorso, quello del cessate il fuoco subito in Ucraina. Ci sono tanti piccoli vostri amici che oggi sono ancora sotto le bombe. In questi giorni avrete la possibilità di conoscere amici di tanti Paesi e di tante città, farete bellissime esperienze e capirete come è bello parlare con i vostri coetanei che provengono da altre parti del mondo, vi renderete conto quanto siete vicini, di come non ci sono distanze quanto vi guardate negli occhi e condividete sentimenti umani e di amicizia. Quando tornerete nelle vostre città, portate questo messaggio: la cosa più importante è la pace, la solidarietà, il rispetto tra i popoli”.
Giffoni parla ai ragazzi e li rende protagonisti: “Al di là del lavoro – ha continuato il presidente della Regione Campania – del clima, dello sviluppo, c’è una emergenza che è legata alla condizione di sofferenza psichica che interessa i giovani. Vediamo sempre più spesso genitori che non riescono a parlare con. i propri figli che non riescono a governarne i loro processi di crescita. Per questo come Regione Campania abbiamo attivato un servizio di psicologia di base presso le strutture sanitarie e presso le scuole”.
Giffoni è un esempio di Mezzogiorno che non si piange addosso, ma che cresce e produce. Inevitabile il riferimento al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che nasce anche per colmare la sperequazione tra aree del Paese: “Sono assenti i giovani ed è assente il Sud nel piano–ha commentato De Luca – Non dimentichiamo che questi duecento miliardi di euro servivano proprio per recuperare il divario tra Nord e Sud, divario infrastrutturale, occupazionale e di genere. Da mesi sono in polemica con il ministro Fitto e non ci sto capendo molto. Ancora oggi abbiamo il blocco dei Fondi di Sviluppo e Coesione che pure erano destinati al Sud con un riparto non ancora formalizzato. Abbiamo bisogno di concretezza e non si può dimenticare che gli obiettivi del Piano erano i giovani ed il Mezzogiorno d’Italia”.
In chiusura di visita l’omaggio della Fanfara della Polizia a cavallo, la visita ai tanti stand istituzionali presenti nel village, l’abbraccio sul carpet con Claudio Bisio. È questa la magia di Giffoni, mondi che si incontrano, valori che si condividono.
L’ultima volta che siamo stati bambini”, la terza vita di Claudio Bisio è una folgorazione
Storia di vite che si intrecciano, mille rivoli di emozioni, giocare alla guerra, mentre le bombe cadono dal cielo per davvero. Storia di amicizia, di una fanciullezza andata via troppo presto. Ragazzi adulti e di “grandi” che giocano al terrore. E ai titoli di coda è chiaro: è la storia di Claudio Bisio, che scommette, osa, si racconta, e lo fa con “L’ultima volta che siamo stati bambini”.
66 anni. È la cifra che segna l’inizio della terza età per Claudio Bisio, che però promette “il bambino dentro di me è ancora vivissimo”. Già conduttore televisivo, poi attore e comico. Ma lo spartiacque della nuova tappa della sua vita, un checkpoint non solo professionale, è l’esordio alla regia con “L’ultima volta che siamo stati bambini”, dal 12 ottobre nelle sale italiane, l’anteprima di apertura del Giffoni Film Festival. Per Bisio è l’età del coraggio, del momento giusto per sfidare se stessi in un genere poche volte affrontato nel corso della propria carriera.
I giovani protagonisti Carlotta De Angelis, Vincenzo Sebastiani, Alessio di Domenicantonio e Lorenzo McGovern Ziani hanno fatto il loro ingresso in sala stampa “scortati” tra le braccia del regista, in un monito di tenera protezione, durante la “raffica” dei fotografi. I loro sguardi sognanti e complici. Con Bisio è intesa, genuina e sincera. È ammirazione. Regista anche davanti la cinepresa, coadiuva e “assegna” le domande ai giovani attori, suggerisce, accompagna, sviluppa ricordi, e immediatamente i volti e le espressioni dei giovani si addolciscono, si rilassano; è il filo invisibile della fiducia regista-attore, che è forte, straordinariamente umano, come tra un padre e i suoi figli. La voce di Bisio tradisce quello che è vero orgoglio “Questi sono attori, non ragazzini!”
“L’ultima volta che siamo stati bambini” nasce da una folgorazione, quella di Claudio Bisio, dopo la lettura dell’omonimo libro di Fabio Bartolomei. “Mi sono così appassionato a questo progetto, con i miei soci e Medusa. La prima sfida ovviamente era quella di trovare il regista adatto. E alla quarta riunione… hanno fatto il mio nome. Ho accettato sì, ma con riserva. Avrei girato il film solo se avessi trovato i bambini giusti. E li ho trovati. Allora ho detto sì, lo faccio.” È a quel punto che gli sguardi dei quattro ragazzi si illuminano. Bisio però conferma che la sua prima prova alla regia è stata una sfida ardua, dovendo affidare il ruolo di protagonisti proprio a quattro bambini – “All’inizio è stato difficile farmi capire, far comprendere ai miei collaboratori come avevo immaginato il film”. Ma è il traguardo è stato dolce ed il percorso esaltante: “Un viaggio, un’avventura, una favola. Il film giusto. La storia che volevo raccontare” conferma il regista.
Bisio sul set è disponibile, aperto “ci ha dato libertà sul set di esprimerci, abbiamo improvvisato tanto e con lui ci siamo divertiti. Ci ha aiutato con le scene più complesse ma non ha mai dimenticato di giocare con noi” – commenta il giovane attore Lorenzo McGovern Ziani. Ed il gioco, lo scherzo, la fanciullezza è tutto nelle parole della giovanissima Carlotta De Leonardis, 11 anni, la più piccola del gruppo, che con un filo di innocente voce spiega la sua scena preferita: “Quando salgo sul treno a vapore… ma non quando mi toccano il sedere!”. Il lavoro di Bisio è stato encomiabile anche nella scelta degli attori, e lo sottolinea Vincenzo Sebastiani “Italo, il personaggio che interpreto, è molto simile a me. Mi piace essere leader, una guida, anche nel mio gruppo di amici”. Ed è sempre il regista che spiega che il ragazzo, giocatore in erba di rugby, ha un’innata predisposizione al lavoro di gruppo, che ha motivato la sua scelta durante i casting. Tra i quattro giovani il più esperto è Alessio di Domenicantonio, che può vantare già una collaborazione con Matteo Garrone. È a lui che Bisio affida il ricordo più divertente sul set: “Ho dovuto fare una mentre giocavamo a pallone, e ho fatto una finta. Stop! Nel 1943 non avevano ancora inventato le finte… diciamo che Cristiano Ronaldo mi ha copiato!”
Lo scroscio degli applausi della Sala Truffaut echeggia ai titoli di coda. È il segno che la prima fatica alla regia di Bisio è un successo. Lo dicono le iridi umide dei giffoners, lo confermano gli apprezzamenti e le risate durante la proiezione. Soprattutto lo confermano le lacrime, tante, tantissime di chi non smette di emozionarsi in una sala cinematografica. “L’ultima volta che siamo stati bambini” conferma la regola Truffaut “Giffoni è il festival più necessario”.
“Indispensabile? È darsi una mano in questo nostro tempo: Erri De Luca racconta alla Impact la genesi dell’immagine di #Giffoni53
“Cos’è indispensabile? È darsi una mano in questo nostro tempo”. Viene fuori da questa considerazione l’idea dell’immagine del #Giffoni53. Un’immagine ideata da Erri De Luca e realizzata in collaborazione con Luca Apolito, direttore creativo di Giffoni. È Claudio Gubitosi, fondatore e direttore del Giffoni Film Festival, a raccontare i retroscena della nascita dell’immagine. Dalla telefonata a De Luca alla sua rapidissima risposta. “È stata una reazione immediata”, racconta ai giffoners della Impact! lo scrittore napoletano, a Giffoni per il terzo anno consecutivo, accompagnato da Paola Borrini Bisson. Ma, più che da una intuizione, alla base c’è una certa “pigrizia – confessa – se mi viene un’idea, non aspetto che me ne venga una seconda. Insomma, buona la prima. Poi Luca Apolito ha trasformato l’idea in questa immagine. E più la guardo e più mi sembra una mano che si fa leggere. Una mano, cioè, che legge il futuro”. E continua: “La mano ha cinque dita quanti sono i sensi”. Così, a ogni senso è associata una parola: la vista al cinema, l’udito alla voce umana, l’odorato alla terra, il gusto al pane, il tatto alla carezza.
Nel corso della lunga chiacchierata, De Luca spiega alcune delle associazioni. “La terra, che è in gran parte non urbana, profuma, cambia continuamente la sua pelle, il suo odore. La terra, ma anche il mare, hanno un odore. In generale, la superficie ha un odore. Anche la roccia ce l’ha. Il naso per me è la sede della memoria, sono gli odori che mi fanno ricordare, che mi fanno risalire a qualcosa di prima”. Quanto al gusto, “è quello del pane perché il pane è parte dell’indispensabile. È quello che la comunità umana deve garantire a chiunque. La peggiore mortificazione del corpo umano è stata la fame. La fame mortifica il corpo ma anche l’anima, ad esempio l’anima del genitore che non può dare da mangiare al figlio. Ognuno ha una piccola responsabilità nei confronti del pane altrui. La più bella distribuzione di cibo è scritta nel libro dell’Esodo, la distribuzione della manna nel deserto”.
Lo scrittore si sofferma anche sul concetto di indispensabile: “Indispensabile è qualcosa che sentiamo di dover fare, alla quale non ci possiamo sottrarre. Quando è scoppiata la guerra in Ucraina, e quindi la guerra è scoppiata in Europa attraverso una disgraziatissima invasione – racconta – con un amico abbiamo acquistato un furgone usato e siamo andati lì, nei posti in cui ci veniva chiesto questo piccolo aiuto. Una goccia nel deserto, sì, ma nessuna goccia nel deserto va sprecata. Abbiamo iniziato a fare andirivieni perché sentivamo che eravamo indispensabili. Finora ho fatto dodici viaggi in Ucraina, e io la considero una cosa indispensabile. Questo è l’indispensabile: il compito che improvvisamente ti arriva e che non hai cercato. Ti si presenta davanti in modo brusco e improvviso e dici ‘lo faccio’. Non sei libero di sottrartene”.
Sollecitato dai ragazzi, Erri De Luca parla del suo mestiere di scrivere e della “incoscienza della comunicazione. Perché scrivere non è comunicare – dice – è qualcosa che ha a che vedere con la propria intimità. Incoscienza della comunicazione è anche quando parlo. Quando mi assegnano un tema vado sempre fuori tema. Anche a scuola facevo così. Dunque, io mi posso considerare un incosciente della comunicazione”. E rivela: “Ho scritto tante storie ma non accumulo esperienza. Ogni volta, di fronte a una storia sono completamente principiante. Sono incapace di accumulare esperienza. Mi improvviso scrittore ogni volta che scrivo una storia”. De Luca racconta di quando sia stata per lui “indispensabile la scrittura, così la lettura”, in quanto erano “il modo migliore per tenermi compagnia, perché ero chiuso, isolato. Mi sono trovato a crescere in un appartamento pieno di libri, dentro quei libri ho trovato lentamente il modo migliore per avere a che fare con me stesso”.
Diverse le considerazioni sull’attualità, a iniziare dall’astensione dalla partecipazione elettorale: “Credo – spiega – che dipenda da una matura consapevolezza di non avere rappresentanti delle vere istanze che stanno a cuore alle persone. Ma immagino questo tempo come un tempo di attesa, attesa che spunti una nuova rappresentanza, che non può non arrivare dal basso. Voi – dice ai giffoner della Impact! – per me siete già una risposta. È la vostra voce che è destinata a trasformare questa società. Voi siete pochi, e i pochi non hanno la massa critica per spostare, ma voi avete la profezia”. E, a proposito di giovani, aggiunge: “Questo è un tempo in cui la gioventù sente che il futuro è una faccenda che non riguarda solo la propria realizzazione, ma il futuro del pianeta. Questa gioventù ha un sentimento di coincidenza tra il proprio futuro e quello del resto del mondo. Come sviluppa questo sentimento? Con capacità profetiche e visionarie. Da sola? Sì, ma può avere qualcosa in comune con un anziano come me. A me anziano piace immaginare come sarà il futuro senza di me. Abbiamo possibilità di incidere? Per ora no perché non c’è massa critica sufficiente”.
Non manca una riflessione sulla vita e sul suo “rinnovarsi continuamente. In questo procedere a oltranza, l’esperienza a noi precedente non ha importanza. Non è vero che la storia è maestra di vita, se lo fosse noi saremmo i peggiori allievi perché ripetiamo continuamente gli stessi errori”. Invece, ciò che accade “è il fatto che si precisa il linguaggio su come devo riferire il mio tempo e le cose che succedono. L’esperienza non mi permette di essere più bravo ad agire ma più preciso a raccontare”, afferma. Tant’è vero che, pensando al mondo che sarà, “immagino – dice – che sarà fatto di piccole comunità autosufficienti, che non avranno bisogno di poteri centrali, che saranno in comunicazione tra loro ma governate su piccola base. Il sentimento con cui guarderanno al passato, cioè a noi che abbiamo prodotto il logorio del pianeta che li costringerà a quelle formule, sarà di considerarci come antenati traditori della specie umana”.
Il messaggio finale, però, è di speranza. Speranza che nasce dal valorizzare il tempo dell’attesa (“non considero perduto nessun tempo di attesa”) e pure quello della perdita (“l’idea della perdita è fertile per me, non è una roba sprecata”). Soprattutto, di speranza che nasce dal non tirarsi indietro mai: “Ogni volta, di fonte a una nuova esperienza, il mio sentimento è di essere sgomento. Di non essere all’altezza. Però non posso non provare a dare la mia risposta. Così, dopo mi rimane la consapevolezza di aver avuto quel poco di coraggio per non tirarmi indietro”.