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Giuliano Amato incontra li studenti del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università Vanvitelli.

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Si è tenuto questa mattina nel Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università della Campania Luigi Vanvitelli l’incontro di studio per la presentazione del volume “Storie di diritti e di democrazia.

La Corte costituzionale nella società”, Feltrinelli, 2023.

Scritto a quattro mani dal prof. Giuliano Amato (Presidente emerito della Corte costituzionale) e dalla dott.ssa Donatella Stasio (Editorialista de “La Stampa”), il libro racconta l’intenso viaggio negli anni dell’apertura della Corte costituzionale alla società civile, per diffondere la cultura costituzionale tra i giovani, nelle scuole, nelle carceri, nelle piazze.

Il presidente emerito della Corte Costituzionale, Giuliano Amato, ha suscitato un ampio dibattito sulla giustizia e il ruolo delle istituzioni.

Il ruolo della Consulta “che non deve fare il Parlamento” ma anche il sistema carcerario, “non sapevo cosa significasse stare in 14 in pochi metri quadrati destinati a 4, prima di entrare in carcere.

Deve essere una privazione della libertà umana o della dignità?”. Ha parlato di questo e anche di molto altro il presidente emerito della Corte Costituzionale Giuliano Amato al Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università della Campania Luigi Vanvitelli a Santa Maria Capua Vetere (Caserta), durante la presentazione del volume “Storie di diritti e di democrazia.

La Corte costituzionale nella società”, scritto a quattro mani con Donatella Stasio, Editorialista de La Stampa, presente all’evento.

La sua aperta critica al sistema carcerario ha provocato gli applausi di tanti docenti e studenti presenti nell’aula magna del Dipartimento. Amato si è poi soffermato sul ruolo della Consulta. “Democrazia – ha sottolineato Amato – è anche rispetto dei ruoli. La Corte non deve fare il Parlamento. I giudici non devono andare oltre l’interpretazione della legge offerta dalle sue parole.

Il rischio è di trovarsi davanti a un ‘governo dei giudici’, non meno grave all’assoggettamento dei giudici ai legislatori”.

Emblematico il caso delle Rems, le residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza, per le quali era stata sottoposta alla Consulta questione di costituzionalità della normativa che le disciplina; la Corte dichiarò la questione inammissibile per non entrare nel merito e dichiarare incostituzionale la normativa sulle Rems, creando così un vuoto nell’ordinamento.

“Esiste, oggi – osserva Giuliano Amato – una difficoltà della politica, ma la Corte non deve approfittarne. Nel caso delle Rems, è stata sottoposta a noi la questione di costituzionalità per il fatto che i potenziali fruitori dovessero restare in carcere o uscire, in mancanza di posti nelle strutture. La Corte non può risolvere questa questione. Non può essere Corte o Parlamento, dev’essere Corte e Parlamento. La questione di democrazia si risolve solo con entrambi, senza che uno prenda il ruolo dell’altro”.

Amato affronta poi, su input di uno studente un altro tema caldo e divisivo, l’eutanasia. “Ho appena presentato – racconta – un volumetto intitolato Dialogo sul suicidio assistito (il cortile dei gentili). Abbiamo trovato una difficile intesa con persone in linea di pensiero contrarie. Un percorso stretto e difficile.

Come? Non impostando la discussione come slogan della propria posizione. Le cose cambiano, al nostro tempo. Oggi sopravviviamo per quello che anche un Papa considera accanimento terapeutico. Se uno lo chiede, perché negarglielo? Uno degli autori contrari pensa sia una sconfitta. Possiamo sperare che in Parlamento succeda qualcosa di simile e si smetta di sbandierare le proprie posizioni come slogan.

La Corte non può fare tutto, però, ed è importante che sappia cosa non deve fare”. Alla presentazione del volume erano presenti il Rettore della Vanvitelli, Giovanni Francesco Nicoletti, il Direttore del Dipartimento di Giurisprudenza Raffaele Picaro e i docente ordinari Lorenzo Chieffi (Diritto costituzionale e pubblico) e Maria Pia Iadicicco (Diritto costituzionale e pubblico).

Donatella Stasio, co-autrice del libro presentato, ha sottolineato l’importanza della comunicazione della Corte Costituzionale con la società civile. Ha citato l’esperienza di Afragola, dove la Corte ha incontrato studenti e cittadini, dimostrando che la Costituzione non è un documento astratto ma una realtà che tocca la vita di tutti. “Sono ammirata. Grazie a chi e qui e all’università della Campania Vanvitelli. Gli interventi, al di là delle domande, hanno offerto spunti interessanti.

Il libro parte con l’ambizione di essere per tutti, per quanto possibile. Non posso non partire dalla scuola che ha fatto scuola, dalla terra dei fuochi, dove tutto è cambiato ed è cominciato. Io ero alla corte da poco e non era previsto che la responsabile della comunicazione accompagnasse il presidente. Spesso ci penso.

Se non mi fosse scattata in testa la deformazione professionale da giornalista, non avrei mai capito l’importanza per l’istituzione l’incontro fisico e lo scambio con la società civile.

Afragola è stato il primo test, sperimentammo quella che è più diventata la forma ordinaria di comunicazione. ‘Ma quando mai ricapita a questi ragazzi di chiedere cose al presidente delle corte costituzionale?’.

Ad Afragola una ragazza ucraina di seconda generazione ci ha interrogati sulla mancanza di cittadinanza per lei e altri “stranieri” di seconda generazione. Leggi ingiuste e offese gratuite le ricordavano di essere straniera quando lei si sentiva più straniera in Ucraina che in Italia. Afragola ci ha insegnato l’importanza di uscire dal palazzo”. Poi, un passaggio sul momento del COVID, durante il quale il podcast ha sostituito il contratto fisico precedente.

“La costituzione non conosce muri, ma i muri li attraversa. Dire che la corte ha cercato consensi andando in carcere è abbastanza inverosimile. Al massimo, non si è curata dei consensi. Purtroppo la cifra della comunicazione non è adeguata.

Per questo sentire comune, la corte doveva andare in carcere. E le critiche ricevute rivelano in certo tipo di sentire la democrazia. La corte deve stare chiusa in una torre d’avorio, senza comunicare e difendersi dalle accuse, anche della politica. La nostra è un’epoca di regressione democratica e non dobbiamo contrastarla. In tutti i luoghi di formazione, bisogna sporcarsi le mani di costituzione. Non ci siamo dimenticati della lezione di Afragola”.

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