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Tosca del 125° all’Opera di Roma parla campano col tenore Vincenzo Costanzo

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Secondo cast della produzione per i 125 anni del capolavoro pucciniano al teatro dell’Opera di Roma con il direttore avellinese Francesco Ivan Ciampa, al debutto, sul podio del Costanzi, i napoletani il tenore Vincenzo Costanzo Mario Cavaradossi e il Maestro del coro Ciro Visco, con diverse voci della scuola partenopea, in replica il 17 e il 19 gennaio

“L’arte è già fuori all’avanguardia, in perfetto orario all’avvenire”, scriveva Bruno Barilli nel suo “Il paese del melodramma”, in cui dedica un lungo omaggio a Giacomo Puccini. Così fu il 14 gennaio del 1900, quando Tosca aprì le porte del secolo breve. È vero, la rappresentazione iniziò male, fra zittii e mormorii della parte avversa. Quella sera il direttore d’orchestra Mugnone, già terrorizzato dalle disposizioni ricevute in camerino, abbandonò il podio e sospese la recita. Dopo un po’, calmatesi le acque, si riprese. Puccini era nervosissimo e pallido come un cencio. Ma poi, via via, si rinfrancò, il pubblico si scaldò, battè le mani, applaudì e chiese il bis della romanza “Vissi d’arte”.

Anche “E lucean le stelle” venne bissata. La melodia di Puccini si dimostrò, ancora una volta, infallibile, come una sorta di stregoneria. Alla fine ci furono sette chiamate, tre delle quali per il solo autore. Ancora oggi è così dopo 125 anni e lo sarà fino alla fine dei tempi. L’allestimento, curato dal regista Alessandro Talevi, ha riportato in vita la magia di quella prima, basandosi sui bozzetti originali conservati nell’Archivio Ricordi, un’operazione filologica che ha esaltato la bellezza di scene e costumi, trasportando il pubblico nella Roma drammatica e passionale di fine Ottocento, unitamente al direttore d’orchestra Michele Mariotti il quale ha saputo restituire tutta la potenza espressiva della partitura pucciniana, dosando con maestria i momenti di lirismo, tensione drammatica, concitazione, unitamente ai protagonisti Saioa Hernàndez, Gregory Kunde e Gevorg Hokobyan, il barone Scarpia.

Cambio cast per le repliche del 17 e del 19 gennaio con Anastasia Bartoli, al debutto nel ruolo del titolo, il tenore napoletano Vincenzo Costanzo in quello di Mario Cavaradossi e Gevorg Hokobayan che cederà, quindi, il ruolo del Barone il 19 gennaio a Daniel Luis de Vicente. Completano il cast Luciano Leoni come Cesare Angelotti, Domenico Colaianni nella parte del Sagrestano e Saverio Fiore come Spoletta.

La voce dei cantanti dovrà esprimere segni di creature nude di ogni idealità, puro sussulto psicologico, schiavi di se stessi, della loro parte più oscura, annientati definitivamente dal corsivo della vita. In Tosca la disperazione si imbeve di politica, e di quell’intrecciarsi del potere laico con l’altare che è stata la linea difficile della nostra storia unitaria dal settembre del 1870 in poi. In scena, sul podio, in palcoscenico e nel coro, una rappresentanza della scuola luminosissima scuola campana, a cominciare dal maestro direttore debuttante all’ Opera di Roma, l’avellinese Francesco Ivan Ciampa, già applaudito nella Tosca televisiva dell’Arena di Verona, lanciato dal teatro Verdi di Salerno, regno di Daniel Oren e al quale guarda nella direzione.

Quindi, quale direttore di Coro, le istituzioni romane, sia Opera che Accademia, hanno il privilegio di godere della collaborazione del Maestro Ciro Visco, già alla guida delle masse corali delle massime fondazioni liriche italiane, con sempre grande successo. Con lui diversi coristi di scuola campana, Salvatore Minopoli, Achille Del Giudice, Emily Santo, Carmen Ferraioli, Vinicio Cecere, Giuseppe Auletta, Maurizio Scavone e Rita Cammarano.

Protagonista assoluto sarà il tenore napoletano Vincenzo Costanzo, il quale dopo un anno pucciniano, in tour per il mondo con la fondazione Puccini e Pinkerton alla corte di Daniele Gatti al maggio e del Maestro Jacopo Sipari proprio al festival di Torre del Lago, quindi Turiddu per Muti, darà voce al suo personaggio d’elezione, Mario Cavaradossi. Vincenzo Costanzo saprà muoversi su di un fin troppo generoso registro acuto, in “Recondita armonia”, che troverà, poi, il lussureggiante tappeto di armonici bruniti nella compiuta e appassionata confessione di Cavaradossi “E lucevan le stelle”, così come in “O dolci mani mansuete e pure”, pagine che andranno a segnare anche quella sottolineatura psicologica del personaggio, che sarà più che credibile anche nell’immagine.

Protagonista in quest’opera resta la Polizia Segreta, il suo sadismo, attualissimo ai tempi d’oggi, un coagulo impressionante di sangue e di nero, degno di un ritratto della città quirita, tutta erotismo e superstizione, oscurantismo poliziesco e volgarità bacchettona, sottoproletariato e aristocrazia perversa, guidata dal Barone Scarpia, che ha da conservare anche il suo nobile charme, con per intero la sua crudeltà e l’ansia, l’immagine di mostro corrotto ma sincero, uomo di mondo e fedele servitore dell’autorità, ruolo che pretende l’eccellenza della corda e della recitazione baritonale.

Quindi, la tenerezza di Tosca, che vedremo espressa dalla figlia d’arte Anastasia Bartoli, l’unica donna ammessa nell’opera, che ne occupa con prepotenza ogni spazio, in ogni momento, sempre da padrona assoluta, amante focosa ed imperiosa che non esita a smaniare in chiesa esibendosi in una violenta scena di gelosia, la stessa creatura che, come una pia fanciulla, s’inginocchia devotamente dinanzi alla Vergine e le offre dei fiori, è la stessa artista che si umilia come una donnicciola qualsiasi quando si prosterna disperata ai piedi dell’aguzzino, implorando pietà per il suo uomo, è la stessa creatura che, brandisce un coltellaccio da cucina e trucida selvaggiamente il boia che la vuole sua, in cambio della salvezza dell’amante, è Tosca il deus ex machina dell’azione che lascia il partner sempre nell’ombra (Cavaradossi è seviziato ma è lei che soffre e recita la sua sofferenza, intonando quella pagina in sé molto efficace e musicalmente ben tornita, ma estranea all’economia del dramma che è “Vissi d’arte”).

La cornice dei luoghi, mossa con estrema abilità fra una chiesa fastosa, una sala di palazzo con annessa stanza dei tormenti, e il carcere per i condannati a morte: è tutta qui la Tosca, schizzante una Roma tra fede e potere e il conflitto fra la voluttà e la carne martoriata, fra la sete vitale e l’oppressione, il tutto elevantesi a monumento sepolcrale, sotto un cielo stellato: la bellezza e gli amori celebreranno un forzato trionfo davanti al plotone di esecuzione.

 

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