Vincenzo Bellini LA SONNAMBULA Melodramma serio in due atti libretto di Felice Romani Direttore | Lorenzo Passerini♭ Interpreti Rodolfo | Alexander Vinogradov Teresa | Manuela Custer Amina | Jessica Pratt Elvino | Francesco Demuro Lisa | Valentina Varriale Alessio | Ignas Melnikas♯ Un notaro | Walter Omaggio♮ ♭debutto al Teatro di San Carlo ♮ Artista del Coro ♯allievo Accademia del Teatro di San Carlo Orchestra e Coro del Teatro di San Carlo Maestro del Coro | José Luis Basso Esecuzione in forma di concerto Teatro di San Carlo | SERIE BIANCO Domenica 30 gennaio 2022, ore 17:00 – P – BIANCO - VI

NAPOLI – A più di sessant’anni dall’ultima rappresentazione, torna al Teatro di San Carlo sabato 23 settembre alle ore 19 Beatrice di Tenda, dramma storico di Vincenzo Bellini su libretto di Felice Romani e penultimo lavoro operistico del compositore catanese.
L’opera, che ebbe la sua prima assoluta nel 1833 alla Fenice di Venezia, sarà nuovamente al Lirico di Napoli per un’unica serata e verrà rappresentata in forma di concerto.
La direzione è affidata a Giacomo Sagripanti alla guida di Orchestra e Coro del Massimo napoletano.
Nei panni della protagonista Beatrice sarà impegnata Jessica Pratt, considerata tra le principali interpreti contemporanee del repertorio belcantistico del primo Ottocento. Accanto a lei in palcoscenico Andrzej Filonczyk (Filippo), Matthew Polenzani (Orombello), alcuni ex allievi dell’Accademia di Canto Lirico del Teatro di San Carlo come Chiara Polese (Agnese), e Li Danyang (Anichino). Rizzardo sarà invece interpretato da Sun Tianxuefei, attualmente allievo dell’Accademia.
Beatrice di Tenda era stata rappresentata al San Carlo l’ultima volta nella stagione 1961/62 con Joan Sutherland nel ruolo del titolo.
Prima dell’esecuzione, per la serie “Lezioni di Opera” Beatrice di Tenda sarà presentata al Museo Memus alle 17 dal prof. Franco Piperno (Università Sapienza di Roma) curatore della nuova edizione critica utilizzata a Napoli, con la partecipazione di altri illustri studiosi belliniani giunti per l’occasione.

Ultima opera ‘italiana’ di Bellini prima dei Puritani, Beatrice di Tenda debuttò al teatro La Fenice di Venezia il 16 marzo 1833
Nonostante la presenza di Giuditta Pasta come protagonista, beniamina del pubblico locale, l’opera fu contestata dal pubblico sia per la modestia degli altri cantanti ma soprattutto perché non fu trovata all’altezza della Norma, il capolavoro belliniano che era stato rappresentato poche settimane prima nello stesso teatro. Bellini dovette scontare il conseguimento di una fama ed un successo ovunque riconosciutigli che resero problematico eguagliare o superare gli esiti artistici di Sonnambula e Norma.

Guida all’ascolto
A cura di Franco Piperno

Beatrice di Tenda: uno sguardo al laboratorio belliniano
Beatrice di Tenda, ultima opera ‘italiana’ di Bellini prima dei Puritani (Parigi 1835) debuttò al teatro La Fenice di Venezia il 16 marzo 1833. Fu un debutto dall’esito inizialmente infelice, a valle di una genesi tormentata a causa di diversi incidenti che possiamo brevemente riassumere così: il soggetto, tratto da una tragedia di Carlo Tedaldi Fores, venne imposto a Felice Romani da Bellini all’inizio di novembre 1832 mentre già il poeta ne stava verseggiando un altro, Cristina di Svezia, concordato all’inizio del mese precedente; la stesura del nuovo libretto comportò ritardi, ripensamenti e fraintendimenti che giunsero a determinare la rottura dei rapporti fra Romani e Bellini, rottura che ebbe anche penosi strascichi legali; Bellini a sua volta tardò a terminare la composizione dell’opera la cui andata in scena – doveva essere l’ultima opera di Carnevale – si protrasse ben dentro Quaresima. La faticosa gestazione ebbe conseguenze sull’assetto complessivo della partitura, come vedremo, e il rinvio della messa in scena indispose il pubblico veneziano che, almeno alla prima, non lesinò segni di disapprovazione, sollecitati anche dalla modestia della compagnia di canto, Giuditta Pasta esclusa, e dal confronto con Norma, rappresentata alla Fenice poche settimane prima. Questo per quanto riguarda la cronaca; di fatto Bellini dovette scontare il conseguimento di una fama ed un successo ovunque riconosciutigli – dal gennaio 1832 aveva intrapreso un viaggio verso Napoli e la Sicilia, generoso di soddisfazioni – che resero problematico eguagliare o superare gli esiti artistici di Sonnambula e Norma: lo suggeriscono la ricordata incertezza nella scelta del soggetto per la nuova opera e la difficoltà nella messa a punto della partitura, come si evince dall’autografo e dagli abbozzi rimastici. Tuttavia, Bellini non considerò mai Beatrice inferiore alle sue precedenti opere, anzi ebbe modo di scrivere: «io l’amo al pari delle altre mie figlie: spero di trovar marito anche per essa» e più volte vi ritornò per rivederla, ritoccarla, modificarla, migliorarla. L’esame dell’autografo e il confronto con altri testimoni per la realizzazione dell’edizione critica dell’opera permettono di individuare diversi tipi di interventi correttivi, oltre quelli eseguiti nel corso della stesura della partitura: modifiche apportate durante le prove in teatro, cambiamenti e sostituzioni effettuati in vista dell’edizione a stampa a cura di Ricordi, ripensamenti ulteriori, successivi a questa edizione ed alla redazione di copie d’uso per esecuzioni. Tutto ciò testimonia sia un’attenzione ‘amorevole’ nei confronti di una creatura sfortunata e ingiustamente bistrattata, sia una genesi della Beatrice di Tenda che non si arresta con la rappresentazione veneziana bensì si protrae ben oltre nel tempo; la nuova edizione critica, rispetto alle precedenti, restaura infiniti particolari anche minuti nella strumentazione, nel fraseggio e nelle linee vocali, reinserisce parti di norma tagliate e dà conto del processo compositivo, problematico ma proprio per questo affascinante, di questa splendida partitura. Eccone qualche esempio.
Un indizio della complessa genesi dell’opera è rappresentato da un passo del Quintetto del secondo atto: gli undici versi dell’allocuzione di Filippo ai giudici che devono sentenziare sulle accuse mosse a Beatrice («Giudici, al mio cospetto / Non v’adunaste mai / Per più grave cagion […]») mancano nel libretto di Venezia 1833: deve essere stata un’aggiunta tardivamente voluta da Bellini quando il libretto era già stato stampato e altrettanto tardivamente fornita da Romani. Effettivamente l’autografo mostra chiaramente che in origine l’inizio della «Scena e Quintetto» (non ancora «Gran scena e Quintetto) avveniva con l’intimazione dei Giudici «Venga la rea» subito dopo il Recitativo fra Filippo e Anichino e la brevissima scena fra Anichino e Agnese: solo successivamente Bellini dovette ripensare l’inizio di questo numero, richiedere l’aggiunta dei versi per l’allocuzione di Filippo e rinominarlo «Gran scena» col conseguente incremento di solennità e spettacolarità, qui e altrove, coerente col nuovo progetto drammatico. Un altro caso di modifiche in itinere segno del progressivo assestarsi della struttura e della drammaturgia dell’opera è costituito da alcuni importanti cambiamenti nell’Introduzione al primo atto. Dopo la romanza di Agnese «Ah! non pensar che pieno», il coro di Cortigiani «Ah! se tu fossi libero» che precede il cantabile di Filippo «Come t’adoro, e quanto» e quello immediatamente seguente («Di spezzar gli odiati nodi») avevano in origine un testo diverso che venne sostituito dal testo attuale adattato alla stessa musica della stesura precedente; Bellini riscrisse la parte del coro col nuovo testo, ma nell’autografo sopravvivono, cancellate, diverse sezioni della versione iniziale che consentono di recuperare almeno parte del testo originario, in ottonari: «ogni sguardo ed ogni detto / d’ambi due esprime gioia, / forse indizio, forse prova, / la fortuna offrir ne puote, / ma tal dubbio, tal sospetto / al pensier ci vien talor, / or l’accresce, l’avvalora / il veder che a lei tornò». Queste parole appaiono un commento ad un incontro fra due persone i cui atteggiamenti inducono i Cortigiani a ritenere che siano amanti. La situazione descritta non si attaglia a quanto appena accaduto: Filippo e Cortigiani hanno assistito, silenti e non visti, al canto di Agnese ed è inammissibile che le parole «ogni sguardo ed ogni detto / d’ambi due esprime gioia» si riferiscano ad essa ed a Filippo. Si può invece congetturare che il testo esprima un’illazione dei Cortigiani circa i rapporti fra Beatrice e Orombello mirata ad alimentare l’avversione di Filippo per la moglie. Ciò significa che quelle parole e la musica che Bellini vi compose, inizialmente erano collocate altrove e che la sequenza delle sezioni dell’Introduzione in origine non era quella che oggi ascoltiamo: la sezione col testo cancellato poteva essere una prosecuzione del coro «Se più soffri, se più taci», pure in ottonari, che ora precede la romanza di Agnese e, col testo cambiato, poté essere spostata più avanti proprio per far posto alla romanza. Del resto, forse non è un caso che quest’ultima nell’autografo non sia di mano di Bellini e sia invece un inserto di mano di copista, indizio di modifiche probabilmente conseguenza (o magari causa) di quelle appena descritte.
Ancora all’ambito dei cambiamenti in itinere appartiene un caso di migrazione di un significativo frammento da una zona all’altra dell’opera: in un momento particolarmente intenso dell’aria Ah! la morte a cui m’appresso nel Finale II Beatrice intona queste note:
; originariamente, come si evince da un abbozzo conservato al Museo belliniano di Catania, esse appartenevano ad una non meno intensa sezione del Finale I, laddove Beatrice, avviata al carcere assieme ad Orombello, si volgeva intorno cercando aiuto fra gli astanti («Né fra voi, fra voi si trova / chi si levi in mia difesa?») e, delusa, cantava quel frammento sulle parole «Ah! se onor più non ragiona / se la terra m’abbandona», parole presenti nel libretto ma espunte in partitura dalla versione definitiva del Finale I mentre le note Bellini le utilizzò, come detto, nel Finale II sempre per Beatrice. Si tratta di una migrazione strategica di un frammento particolarmente espressivo e commovente che nella posizione originaria toglieva più di qualcosa allo sdegno vibrante della protagonista per le assurde accuse rivoltegli e ricollocato laddove, nelle intenzioni del Catanese, avrebbe dovuto sortire miglior effetto. Effetto che, invece, i contemporanei non ravvisarono proprio nel Finale II tanto che esso dovette essere sottoposto, dopo il debutto, a consistenti rimaneggiamenti. Bellini teneva molto al finale dell’opera (commovente addio di Beatrice alla sua gente mentre si avvia al patibolo, ingiustamente condannata per adulterio); il 5 novembre 1832 ne scriveva a Giuditta Pasta in questi termini: «[trovo] l’ultima scena di tale argomento similissima alla fine di Maria Stuarda, ove Romani può perfettamente copiare la scena di Schiller a voi tanta simpatica pel campo che presenta ad una artista del vostro calibro». Costituiscono la «Scena ultima» una marcia funebre con banda sul palco (Lugubre maestoso), l’aria di Beatrice Deh! Se un’urna è a me concessa, l’ampio intermezzo corale Oh! Infelice! Oh a qual serbate, la cabaletta Ah! la morte a cui m’appresso (per la quale Bellini riutilizzò la cabaletta di Fernando Odo il tuo pianto, o padre dall’atto secondo di Bianca e Fernando) e una coda corale Il suo spirto o ciel ricevi; quest’ultima si chiude con l’addio di Beatrice ai suoi (parole aggiunte da Bellini) pronunciato dall’alto, volgendosi: conclusione quasi mistica, potenzialmente di grande effetto scenico. Questo finale non piacque; un cronista veneziano commentando il debutto dell’opera affermò che, esclusa la prova della Pasta, il finale «fece pochissimo effetto» e alla ripresa milanese del luglio 1833 un altro cronista scrisse che «fu acclamatissima l’aria-finale della donna [Fanny Tacchinardi Persiani], ma più ch’altro pei pregi d’esecuzione»: dunque, una conclusione che lasciò freddi, in parte riscattata dalla bravura dell’interprete. Forse Bellini pensò autonomamente ad apportare dei cambiamenti; di certo fu sollecitato a ciò da Ricordi, impaziente di mettere in commercio lo spartito completo per canto e pianoforte con «quei cangiamenti che voi avete riputati necessarj a rendere questo spartito non inferiore agli altri vostri», esortandolo a «mutare quà e là alcune cose, massime l’aria finale». Testimone dei cambiamenti è giustappunto lo spartito Ricordi completato nel 1834 (numeri di lastra da 6950 a 6970) mentre di essi non abbiamo stesure autografe di Bellini: forse egli si limitò a dare delle indicazioni operative, denotando con questo un certo distacco dall’operazione fortemente voluta da Ricordi. I cambiamenti consistettero in una drastica riduzione del Lugubre maestoso, in un ampliamento dell’aria Deh! Se un’urna con incremento di sezioni dotate di estese fioriture vocali, nella riduzione del coro centrale a sole sei battute e in una nuova coda con Beatrice e coro uniti, polifonicamente più elaborata della precedente ma senza l’addio dall’alto e sulla cui paternità belliniana ho già espresso in altra sede forti dubbi; restò la cabaletta Ah! la morte a cui m’appresso che la critica ha spesso ritenuto debole: non la pensava così Bellini che, nel ripensare il Finale, la mantenne e anzi l’ampliò prescrivendone la ripetizione aggiuntiva di quattro battute. Di fatto il vero finale della Beatrice è quello originario, più innovativo ed equilibrato; il secondo – più breve di 40 battute – consiste essenzialmente nell’incremento del protagonismo della prima donna a discapito della spettacolarità d’assieme, della presenza corale e dello stesso addio dall’alto cui Bellini tanto teneva. Ma perché questo finale non piacque? A Venezia poté giocare un ruolo l’indisposizione del pubblico verso l’opera a lungo attesa, a Milano la causa fu forse «la debolezza della compagnia» (parole di Giulio Ricordi), in entrambe i casi l’effetto scenico dell’addio da lontano poté essere malamente realizzato.
Bellini sperò in un definitivo riscatto della Beatrice proprio a partire da Napoli e dal San Carlo con la Malibran nel ruolo del titolo; ne parlava in termini entusiasti all’amico Francesco Florimo in una lettera del 4 ottobre 1834: «Vedrai il duetto ed il finale del 2:do [recte primo] atto che effetto faranno, senza poi parlarti del quintetto ed ultima scena del 2:do». Quella rappresentazione non ebbe luogo ed il riscatto non ci fu. È auspicio dello scrivente che, con la ripresa odierna a Napoli nella nuova edizione critica che restaura infinite bellezze dell’opera da tempo occultate dalla patina del tempo e delle convenzioni esecutive, Beatrice di Tenda possa tornare a risplendere come merita, gemma preziosa fra le tante donateci da Vincenzo Bellini.

Teatro di San Carlo
Sabato 23 Settembre 2023, ore 19:00 – F.A.

Vincenzo Bellini
BEATRICE DI TENDA

Tragedia lirica in due atti
Libretto di Felice Romani

Direttore | Giacomo Sagripanti

Interpreti
Filippo | Andrzej Filonczyk
Beatrice | Jessica Pratt
Agnese | Chiara Polese #
Orombello| Matthew Polenzani
Anichino | Li Danyang #
Rizzardo | Sun Tianxuefei #

# allievi Accademia Teatro di San Carlo

Orchestra e Coro del Teatro di San Carlo
Maestro aggiunto del Coro | Vincenzo Caruso

Produzione Teatro di San Carlo

Esecuzione in forma di Concerto

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