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La storia di Angelo Scalzone diventa un romanzo grazie ad Antonio Leone

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NAPOLI (Di Anna Calì) – Lo sport ha sempre rappresentato un’importante palestra di vita, insegnando disciplina, sacrificio e spirito di squadra. Tuttavia, nel corso degli anni, la sua natura è cambiata profondamente. Se un tempo gli atleti praticavano le loro discipline per pura passione, oggi l’agonismo è sempre più legato a dinamiche economiche e professionistiche. Ma quanto ha inciso questo cambiamento sulla motivazione e sulla dedizione degli sportivi?

Negli anni ‘70 e ‘80, chi praticava sport spesso lo faceva senza alcun ritorno economico, sostenendo da solo le spese per le competizioni. La fame di vittoria era alimentata dal desiderio di superare i propri limiti, di rappresentare un simbolo per la propria comunità. Oggi, invece, molti atleti sono stipendiati, inquadrati in strutture federali che garantiscono loro sicurezza economica. Questo ha permesso un’evoluzione nella preparazione atletica e nella qualità delle competizioni, ma ha anche ridotto in alcuni casi quella spinta interiore che nasce dalla necessità di emergere.

Il fenomeno non riguarda solo gli sport olimpici, ma anche discipline più popolari come il calcio. La questione del valore economico degli atleti è sempre più dibattuta: è giusto garantire stabilità a chi dedica la vita a una disciplina, ma è altrettanto importante che il desiderio di eccellere rimanga vivo.

A raccontarci un esempio concreto di questo cambiamento è l’autore del romanzo dedicato alla vita di Angelo Scalzone, atleta che ha vissuto lo sport come pura passione. Antonio Leone ha impiegato anni per ricostruire la sua storia, realizzando un’opera intensa e coinvolgente.

“Questo progetto mi è quasi capitato addosso, ma mi sento fortunato ad averlo incontrato nella mia vita.” Una fortuna che ha richiesto impegno: due anni di interviste, oltre 40 testimoni tra familiari, amici e personalità dell’epoca, e un’immersione profonda nelle fotografie e nei ricordi della famiglia”, dichiara Antonio mentre è seduto al tavolino del bar sorseggiando il suo caffè.

L’autore ha inizialmente tentato di scrivere la storia in terza persona, ma il risultato appariva freddo e distante. “C’era uno scarto tra l’Angelo che emergeva dalle testimonianze e quello che stavo descrivendo. Per questo ho deciso di scrivere tutto in prima persona, come se fosse lui stesso a raccontarsi. Così il testo è diventato più caldo, più vicino al lettore. Ho dato forma ai ricordi, non ho inventato nulla”, dichiara accennando un sorriso.

Continuando l’intervista con Antonio, tra una chiacchiera e la curiosità del suo lavoro editoriale vengono fuori anche gli aspetti complessi della stesura e, al tal proposito lo scrittore afferma che: “Non esistono archivi dettagliati, quindi ho dovuto incrociare fonti di federazioni, siti amatoriali e testimonianze dirette. La parte più dura è stata ricostruire la gara di Monaco: dieci giorni di lavoro con un amico, incrociando una montagna di articoli e dati per ricostruire ogni fase della competizione. Ma il vero cuore del libro è stato il ritratto umano dell’atleta. Non potendolo conoscere di persona, ho dovuto basarmi sulle testimonianze. Ognuno aveva una visione diversa: i figli, gli amici, i colleghi. L’uomo era percepito in modo differente a seconda del punto di vista, ed è stata una sfida rendere il tutto coerente e armonioso.”

Mentre parla di quanto abbia faticato nel congiungere i giorni della gara, traspare dall’espressione del suo viso una certa difficoltà e sofferenza per il duro lavoro svolto. Tuttavia, ora può ritenersi orgoglioso e soddisfatto, nonostante la fatica e le lunghe ore di studio e confronto.

Tra una chiacchiera e una curiosità durante l’intervista, il discorso arriva ai giovani e a come il loro modo di approcciarsi allo sport sia cambiato nel tempo.

L’autore riflette su come l’agonismo moderno sia influenzato da dinamiche diverse rispetto al passato, in cui la passione era l’unico vero motore per gli atleti: “Oggi i giovani vivono lo sport in modo diverso: c’è meno fame di vittoria, più pressioni e aspettative. Una volta si praticava per passione, mentre oggi molti atleti sono professionisti stipendiati, il che può ridurre la motivazione”, afferma l’autore.

Parlando dei progetti futuri e di ciò che gli piacerebbe fare ci svela che: “Sto lavorando a una sceneggiatura per un cortometraggio e a un fumetto per portare questa storia nelle scuole. Voglio trasmettere i valori positivi dello sport e della disciplina.”

Un’opera che non si ferma alla pagina scritta, ma diventa un progetto culturale e formativo, con l’obiettivo di lasciare un segno anche nelle nuove generazioni.

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