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Massimo Fineli porta in scena l’originale allestimento “Anna Cappelli (CanticOpera)”

LA GIOSTRA

NAPOLI – Come rinnovare la messa in scena di un testo già classico della drammaturgia contemporanea? A questo interrogativo, prova a “rispondere” il regista Massimo Finelli, portando in scena, venerdì 26 ottobre 2018 alle ore 20.30 (repliche fino a domenica 28), Anna Cappelli (CanticOpera) di Annibale Ruccello, in prima assoluta al Teatro La giostra di Napoli.

Presentato da Akerusia Danza, l’allestimento si avvale della presenza in scena di Patrizia Eger, affiancata da Michelangelo Esposito, Matteo De Luca, Chiara Cucca, Sabrina Gallo, Sissy Brandi, Eleonora Migliaccio, Valentina Vittoria. Gli interventi di danza sono a cura di Akerusia Danza, con la coreografia di Elena D’Aguanno per la danzatrice Benedetta Musella, e i disegni di Grazia Iannino.

Un’impiegata comunale, cresciuta con ambizioni analogamente comuni (matrimonio, casa, figli), muore nel tentativo di costruirsi e preservare un’identità che va in pezzi suo malgrado.

E’ una storia d’amore incastrata tra le ganasce della solitudine e di un mal posto senso di quanto è mio, dove uccidere l’oggetto del proprio desiderio significa confondere mio con io. Chi se ne va porta con sé una parte importante, per alcuni inaccettabile.

Anna Cappelli (Canticopera) spoglia la protagonista del costume piccolo-borghese, affondandola in un pantano di ricordi, fantasie, ossessioni. La recitazione è un monologare ossessivo, fatto di interlocutori assenti, voci inudibili, cui rispondere.

Un’esigua folla di attori sperimenta relazioni difficili, azioni a vuoto, per riempire buchi d’identità e tempo. A cose fatte restano quelli, per chiunque.

“Rileggendo il testo – spiega Massimo Finelli – scopro che i sette quadri di Anna Cappelli sono intervallati da “stacchi musicali”, didascalie senza altre specificazioni. Ecco il margine di libertà per una scrittura scenica che ri-contestualizzi l’originale. Considero che si tratti di una tragedia attualizzata (una commedia nera, una tragedia bianca) e finisco col rispettarne il canone più antico: un(a) protagonista e un coro, al quale affidare suoni, pantomime, danze”.

La questione in ballo è identitaria: non più figlia, non solo impiegata, non moglie, non madre. Tenta ruoli per i quali è inadeguata, non diversamente dai coristi che provano a ritagliarsi spazi da protagonista nella comune medietà scenica.

A completare il quadro, disegni che alludono a un immaginario diario segreto della protagonista, al suo copione mancato.

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