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No alla privatizzazione dei beni culturali napoletani

NAPOLI – Le attiviste e gli attivisti di Mi Riconosci lanciano una petizione per chiedere con forza di non privatizzare il patrimonio pubblico napoletano. Tra i primi firmatari troviamo comitati locali e nazionali, come l’Ex OPG, Rete SET, Italia Nostra Napoli, Legambiente Napoli, Emergenza Cultura, il GRIDAS di Scampia ed altri.

Il 14 marzo il Comune di Napoli ha presentato al Teatro Mercadante le linee di indirizzo del Piano della Cultura 2022-2026, mentre già da settimane il sindaco Gaetano Manfredi aveva dichiarato di essere a favore della creazione di una fondazione per la cultura. “Troviamo preoccupanti le affermazioni del sindaco in merito ad una messa a valore di siti quali Castel dell’Ovo, il Maschio Angioino, il Pan, il Cimitero delle Fontanelle o le numerose chiese della città: dichiarazioni che lasciano intendere la volontà di introdurre o maggiorare i biglietti d’ingresso” afferma Evelina Pasquetti, attivista campana.

Il sindaco in una dichiarazione al Mattino del 14 febbraio affermava di voler avviare cantieri di restauro in questi siti, per poi consegnarli ad una gestione pubblico-privata: ma, come più volte dimostrato, tale tipo di gestione nel settore culturale ha portato nel tempo molti benefici al privato e perdite per il pubblico. Lo strumento che il Comune vorrebbe per questo cambio di gestione è quello della Fondazione di partecipazione, il cui modello esemplare richiamato da Manfredi sarebbe quello della Fondazione Musei Civici di Venezia: “un esempio fortemente criticato – puntualizza Ester Lunardon, attivista veneta attualmente in Campania – per la priorità data al turismo di massa, a discapito della fruizione pubblica”.

Per questo l’associazione Mi Riconosci e le altre realtà firmatarie della petizione condannano questo modello di gestione: “Le fondazioni il più delle volte, una volta preso in gestione un bene culturale, tendono ad alzare i prezzi dei biglietti risparmiando sul costo del lavoro, ricorrono al volontariato sostitutivo, adottano contratti non adeguati, a chiamata e senza le necessarie tutele, e in caso di perdita chiedono aiuti allo Stato. Il regime privato in cui operano permette loro di non ricorrere a concorsi pubblici trasparenti per assumere personale. In più, a causa dell’opacità stessa dello strumento giuridico della fondazione, rimangono problematiche le possibilità di recesso degli enti pubblici, per cui ogni concessione si configura di fatto come perpetua” si legge nella petizione.

L’auspicio è che, in una città metropolitana come Napoli, povera di spazi verdi e luoghi di aggregazione, le istituzioni culturali (musei, biblioteche, teatri, chiese…) rimangano sempre poli di incontro e di scambio, luoghi deputati alla produzione di cultura: una cultura che sia scudo per i più deboli, rifugio ed opportunità di crescita personale e spirituale. Luoghi che non si pieghino alle leggi di mercato.

Per firmare la petizione: https://www.change.org/p/stop-alla-privatizzazione-della-cultura-a-napoli

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