Armando Editore è lieta di annunciare la pubblicazione di Odio Innocente, il nuovo romanzo di Domenico Romeo. Un noir avvincente che trascina il lettore nel ventre degli anni Settanta, tra eversione clandestina, traffico di droga, infiltrati e malavita organizzata. Un’infanzia tra le macerie: il romanzo di formazione di un’Italia che rinasce. Roma, primavera 2009 – In questo toccante racconto autobiografico, l’autore ci conduce nella periferia romana degli anni ’50, tra i profumi e i disagi di una città in lenta ricostruzione dopo la guerra. Nato nel 1950, figlio di un portinaio e di una casalinga, cresce in una realtà fatta di dignità silenziosa, scarpe passate da fratello a fratello, e letture divorate all’ombra degli alberi nei parchi pubblici. Attraverso una narrazione sincera e densa di memoria, il protagonista ripercorre la sua formazione tra figli di partigiani e reduci fascisti, comunisti idealisti e quartieri che “non si schieravano”. L’infanzia si intreccia alla storia collettiva, tra rabbia, povertà, e una sete di comprensione che trova rifugio nella lettura di compendi letterari rubati, quali quelli su Mussolini e Anna Frank, ma che sfocia nell’adesione al mondo dello spontaneismo armato neofascista e soprattutto nell’ossessione di ricercare la verità sull’omicidio di Pier Paolo Pasolini che lo condurrà in dimensioni di perdizioni e follie figlie di logiche perverse, degli anni di piombo fino ai nostri giorni. Un libro che parla di identità, di ideologie vissute senza ancora comprenderle e di come le parole possano salvare. Un racconto personale, ma capace di restituire uno spaccato autentico dell’Italia del dopoguerra, dove ogni bambino portava sulle spalle il peso della Storia, anche senza saperlo.
“Odio Innocente” è un romanzo che mescola memoria personale e Storia collettiva. Quanto c’è del Domenico Romeo uomo nel personaggio di Matteo, e quanto invece ha voluto creare un alter ego narrativo per esplorare le contraddizioni di un’epoca?
“Matteo, protagonista principale di “Odio Innocente”, è un personaggio in parte sui generis, ma in larga parte un personaggio figlio del suo tempo. Parliamo degli anni settanta, in una società civile, teatro e vespaio di lotte ideologiche a cavallo fra il ’68 che va ad incunearsi poi fra gli anni di piombo e le relative rivendicazioni sociali acuite in forma esponenziale. Per quanto mi riguarda, non c’è nulla di mio nel personaggio principale così come in nessun personaggio descritto, ho solo voluto costruire un’identità narrativa coerente a tutta la storia assolutamente in linea non solo con le contraddizioni dell’epoca, ma immergendo il lettore all’interno di uno spaccato sociale molto particolare che induce a riflettere”.
Nel libro emerge un’Italia percorsa da violenza, ideologia e sete di verità. Guardando all’attualità, crede che oggi esista una nuova forma di “eversione”, magari meno appariscente ma altrettanto pericolosa?
“Come detto sopra, ogni epoca è irripetibile e presenta aspetti sociali positivi e negativi. Chi legge “Odio Innocente” verrà catapultato in uno spaccato assolutamente veritiero e turbolento e potrà essere tentato, inconsciamente, a chiedersi se le dinamiche sociali descritte siano davvero esistite o frutto dell’invenzione del narratore. Confermo che le dinamiche descritte erano reali in quegli anni (in particolare quelle legate ai connubi fra traffico di droga e gruppi clandestini ideologici che trovavano ciò un collante con lo spontaneismo armato e la violenza di piazza). Ad oggi, ritengo che l’ideologia devastante e deleteria sia costituita, in primis, dal relativismo, un’appendice della “società liquida” descritta da Bauman. Un relativismo che trova nella “società liquida” il suo fine naturale che insidia ogni ambito della società civile inquinando storia, scienza, evoluzione dell’uomo. E’ un discorso molto complesso e ramificato, ma credo che, in breve, sia questo in primis, oggi, il pericolo eversivo maggiore”.
L’ossessione di Matteo per la morte di Pasolini è uno dei motori centrali della narrazione. Perché proprio Pasolini, e che ruolo crede abbia oggi la sua figura nella coscienza culturale e politica italiana?
“Matteo nasce nelle borgate povere di Roma e come forma di reazione, per caso e per destino, abbraccia la logica dello spontaneismo armato neofascista. Ma prima di abbracciare tale logica vive affascinato dalla figura di Pasolini perché nei suoi racconti, nella sua poetica, ritrova il suo ambiente, i suoi profumi, quella povertà intrisa di dignità tanto narrata dal poeta. La sua morte lo sconvolge e passa tutta la vita alla ricerca della verità entrando in un circuito perverso che crede di dominare perché ritiene sia funzionale alla ricerca della verità sull’omicidio, ma che in realtà si dimostra l’esatto contrario: è quel circuito perverso che controlla lui. Un sottobosco di soggetti gravitanti in luoghi di potere non definiti, malavita, zona grigia che promette di avvicinarlo a Pino Pelosi, il presunto omicida del poeta: questo mondo gli esploderà davanti con la stessa violenza con la quale lui si era posto nei confronti della vita, rendendosene poi conto. Riguardo a Pasolini credo debba intendersi non solo un grande intellettuale, ma anche un profeta ante litteram. Aveva capito dove si sarebbe spinta questa società individuando, nell’odierno capitalismo e nell’ odierno globalismo, il deterrente per svilire popoli, uniformare le coscienze, annullare il dissenso, appiattire il senso critico”.
Nel suo romanzo si parla di infiltrati, doppiezze morali, verità manipolate. In un’epoca come la nostra, segnata da fake news e complottismi dilaganti, crede che i confini tra realtà e finzione siano diventati ancora più sottili?
“Assolutamente sì, anche perché con lo sviluppo delle piattaforme social che sono diventate terreni fertili per la diffusione di qualsiasi castroneria, assistiamo ad un fenomeno tipico del nostro tempo che porta un nome ben preciso: “information overload”, ossia l’esubero di informazioni non controllate. Questo succede perché avendo tutti acceso a portali, siti di informazione e non, chiunque può diffondere qualsiasi notizia e questo accumulo seriale di informazioni rende, pertanto, difficile captare la verità dalla falsità. E in questo cerchio magico, nel mezzo, c’è sempre in mezzo la censura che rischia di abbattere come una scura qualsiasi libertà di pensiero. E con l’avanzare dell’intelligenza artificiale questo rischio diventa ancora più concreto”.
Matteo attraversa il tempo con il peso di ideologie che non comprende appieno, ma che lo segnano nel profondo. Che riflessione fa oggi sulla fragilità con cui molti giovani si avvicinano a ideologie radicali o estremiste, anche sul web?
“Matteo, difatti, si schiera per caso descrivendo il proprio quartiere povero, non schierato convintamente e uniformemente per la povertà che attanagliava l’Italia nel dopoguerra. Lui si schiera successivamente, come forma di autodifesa somatizzando il senso di vendetta verso un proprio amico. Oggi, riallacciandomi a quanto ho esplicato nella risposta precedente, la gioventù rischia di essere trascinata dalle derive dei pericoli odierni quali l’odio al “diverso”, l’accesso alle dark web, ai siti “incel” dove si propaga l’odio alla donna, all’adesione alla logica del branco che conduce al bullismo, ai soldi facili, fino al ricorso a ideologie “liquide” che potrebbero essere da apripista a nuovi regimi”.
Il libro sembra suggerire che le parole, a volte, possono salvare. In un’Italia sempre più polarizzata, crede ancora nel potere salvifico della cultura, della scrittura e del dialogo?
“Assolutamente sì, credo in questi valori, lo dico non solo da criminologo ed educatore, ma soprattutto da padre. Mai abbassare la guardia”.
“Odio Innocente” è anche un romanzo sul senso di colpa, sull’identità e sulla vendetta. Cosa pensa che resti oggi, nella nostra società, di quella voglia di “appartenere a qualcosa”, e come si è trasformata rispetto agli anni Settanta?
“I personaggi del libro, non solo quindi quello principale, sono tutti pervasi dal senso di identificazione verso qualcosa, sia essa un’ideologia, un credo e tutta la loro vita è improntata su ciò. Vivono la loro vita con impegno maniacale e radicalità dell’idea. La descrizione di dette psicologie non sono altro che lo specchio di un periodo storico che piano piano è tramontato. Con la riabilitazione di terroristi ritornati in Italia, i personaggi chiave cercano di ricostituire quell’ossatura ideologica che era la forza motrice degli anni settanta. In parte ci riescono, ma in parte no, sia perché si muovono nel tessuto connettivo di una società profondamente mutata e per altre motivazioni che il lettore scoprirà. Rispetto a quel tipo di società, a mio avviso, oggi rimane ben poco. Se è un bene o un male? Sarà la storia a stabilirlo”.
Da scrittore e osservatore attento della realtà, vede segnali che ci stanno riportando a un clima di tensione sociale e politica simile, seppur con volti diversi, a quello degli anni di piombo? E come possiamo, come cittadini e narratori, rispondere a tutto questo?
“Non credo che le tensioni sociali di oggi siano propedeutici a un ritorno agli anni di piombo. Mancano le condizioni e le fondamenta. Sia chiaro, ogni stagione ha le sue tensioni morali, sociali, umane, ma il vicolo degli anni di piombo credo e mi auguro non sia più percorribile”.