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“Sangue Normanno” il nuovo romanzo di Giovanni d’Angelo

NAPOLI – Due linee temporali lontane quasi un millennio: l’inizio dell’undicesimo secolo e la fine del ventesimo secolo. Due protagonisti, il comandante normanno Raynulpho Drengot, fondatore della città di Aversa, e il capitano dei Carabinieri Andrea Golia, accomunati dallo stesso destino e da una grande responsabilità: non sono più semplici umani ma vampir, esseri che vanno bel oltre quello che ci racconta la letteratura fantastica.

– 1018 – Sulle sponde del fiume Ofanto imperversa la battaglia. Un comandante normanno guida le proprie schiere in guerra e cade con orgoglio durante il combattimento. Ma non è il suo ultimo giorno di vita: un misterioso guerriero lo riscatta dalla morte, e Raynulpho rinasce come vampir. Da allora il capo nordico attraversa i secoli dissetando la sua brama di conquista.

– 1980 – Il capitano dei carabinieri di Aversa, Andrea Golia, indaga sulla misteriosa scomparsa di due uomini dall’Ospedale Psichiatrico Maria Maddalena, ma gli indizi lo portano a uno scenario sempre più privo di senso.

Un antico diario, il cui contenuto va protetto a ogni costo, cela un mistero primitivo: vita e morte si muovono tra le sue pagine.

Prof. d’Angelo, può spiegarci come nasce l’idea del romanzo e perché ha scelto di affrontare questo argomento?

“Sangue Normanno nasce da una doppia necessità. Quella di dare importanza alla Storia dei luoghi, dei miei luoghi, e di tutti coloro che li hanno definiti e condizionati. In primis i normanni. E quella, strettamente privata, legata al rapporto intimo che ho con le mie radici. Queste sono radici eterogenee, fatte di posti fisici, mentali, emozionali, ma anche di persone, silenzi, racconti, leggende, idee, speranze, sogni. Insomma: la vita”.
In che momento della sua vita ha deciso di dedicarsi alla scrittura e quanto essa può far bene alla mente?

“Se per scrittura intende l’atto di mettere su carta idee e storie, allora credo di farlo da quando ne ho memoria. È sempre stata una necessità profonda, non solo per la mia mente e per il suo benessere, ma anche per la mia parte emozionale.
Quando si scrive si sceglie di trasmettere le proprie emozioni e pensieri ad altri attraverso una storia. Arriva però il momento del distacco, un tempo nel quale l’autore riconosce di aver finito la sua opera e la dona agli altri, a chi la legge. Da quell’istante in poi è il lettore a finire l’opera con le proprie emozioni, ognuno a suo modo. E questo passaggio di testimone a me pare un atto di profonda bellezza”.

Cosa l’ha spinta a scrivere: “Sangue Normanno”?

“Qualche anno fa ho pensato di scrivere una sceneggiatura per un fumetto che fosse legata alla Storia e alle storie della mia terra. Volevo che avesse un sapore fantastico, in modo che anche i giovani potessero appassionarsi alle proprie radici. Però mi sono fatto prendere la mano e grazie a qualche amico che ha creduto nelle mie capacità mi sono cimentato in un progetto più arduo: scrivere un romanzo”.

Il libro è basato su due linee temporali diverse tra loro. Come mai la sua scelta è ricaduta proprio sui quei due periodi?
“Il primo periodo coincide con la fondazione della città di Aversa, luogo centrale per la storia che racconto. Il secondo, il 1980, l’ho scelto perché avevo la necessità di ambientare il romanzo in un periodo abbastanza vicino a quello attuale, dove però l’iperconnessione non fosse ancora cominciata. Inoltre il terremoto di quell’anno mi è servito come evento che facesse da spartiacque nella storia”.

Autore anche di brevi racconti. Può accennarci qualcosa e soprattutto quant’è difficile avere il dono della sintesi per uno scrittore?

“Scrivere un racconto lungo, breve, un romanzo o un saggio sono atti profondamente diversi, è come suonare pianoforte, chitarra, basso o batteria. Si parla sempre di musica, ma sono strumenti lontani l’uno dall’altro. Un mio racconto è stato pubblicato su una rivista letteraria e successivamente in una raccolta e ne sono felice, orgoglioso. Non credo però si tratti strettamente del solo dono della sintesi, ma, come dicevo, di scegliere su quali emozioni lavorare e trasmettere al lettore”.

Quale protagonista l’ha messo più in difficoltà e qual è invece, quello in cui si rispecchia maggiormente?

“Nessuno dei personaggi mi ha creato particolari problemi. Tutti loro sono arrivati portando le proprie storie e motivazioni. Mi pare più di averli scoperti che creati, come se fossero già lì da qualche parte e attendessero qualcuno gli desse sostanza. Mi trovo sparso, nel bene e nel male, in ognuno di loro”.
Lei è anche un autore molto attento alla visione del mondo, infatti, ha realizzato diverse mostre fotografiche. Cosa vede ora in questo mondo e come se lo immagina tra 10 anni?

“I miei ultimi lavori fotografici riguardano l’incapacità umana di guardare. Per questo ho fatto ritratti di persone ad occhi chiusi. Quel che vedo limpidamente è l’incapacità o non volontà del mondo di riconoscere la bellezza e le brutture che ci circondano. Devo ammettere che quel che mi aspetto è un inasprimento di questo atteggiamento, un isolamento che aumenterà sempre più ma che spero possa essere arginato dalla Cultura. Ignorare non è mai la soluzione!”

“Come cambierebbe la vostra vita, e la sua stessa concezione, se viveste mille anni?”, come cambierebbe la sua vita se dovesse fare riferimento a questa citazione?

“In primis continuerei a imparare, prenderei altre lauree e le metterei a frutto in qualche modo. Imparerei a suonare altri strumenti musicali, farei sport e arti marziali, proverei a recitare e continuerei a scrivere. Dopo qualche centinaio d’anni, come è nella mia natura più profonda, tenterei di convogliare nozioni ed esperienze acquisite in iniziative finalizzate al miglioramento della vita di tutti. Sono convinto che il mezzo necessario per perseguire un tale obiettivo sia la conoscenza. È quella la via che intraprenderei e che nel mio piccolo seguo scegliendo di insegnare ai più giovani”.

Un paio di settimane fa ha vissuto l’esperienza del Roma Crime Fest tenutosi a Pomezia. Può raccontarci com’è andata e quali erano le sue aspettative?

“Sono stato felice di partecipare a questa prima edizione del Roma Crime Fest. A dire il vero non avevo particolari aspettative, se non quella di conoscere persone a cui piace scrivere e leggere. Devo dire che non sono rimasto affatto deluso. È stata una bella esperienza”.

Quale sarà il percorso che seguirà ora “Sangue Normanno”?

“Il suo percorso non è più nelle mie mani, se non per le presentazioni che con Spirito Libero, la casa editrice che mi ha pubblicato, decideremo di fare. Per il resto spero che il libro sia letto da più persone possibili, che vi trovino spunti di riflessioni e che si appassionino ai suoi personaggi, tutti con una caratteristica alla quale non ho voluto sottrarli: la veridicità. Si portano dietro le loro storie, problemi, paure, eppure la vita li mette davanti a bivi difficili; loro scelgono o qualcuno lo fa per loro, come avviene nella vita reale. Non ha alcuna importanza che alcuni siano esseri fantastici o quasi immortali. La vita ha la meglio, sempre”.

Ha in mente di scrivere dell’altro? Se sì, cosa?
“Sì, ma preferisco non anticipare nulla al momento, diciamo solo che lavoro per fare in modo che Sangue Normanno sia solo il mio primo romanzo”.

Per quale motivo i lettori dovrebbero leggere il suo romanzo? Qual è il punto di forza?
“Sangue Normanno è una scoperta della Storia e delle storie che in qualche modo appartengono a tutti noi, anche attraverso personaggi fantastici! È una fusione di fatti reali e immaginari, di vita vissuta e di chimere che si intrecciano senza soluzione di continuità. È vita vera, possibile o solo immaginabile, non esiste ma è lì ad aspettarvi”.

Se dovesse convincere i suoi lettori con una frase del suo romanzo, quale sceglierebbe?
“Rispondo a questa domanda con un pensiero dell’Onorevole Giulio Enrico Derengo, con il quale si apre il romanzo.
«La storia di luoghi minori o di città definite medie deve sembrare di secondaria importanza, deve essere raccontata superficialmente e senza enfasi, in modo da poterla ritenere superflua e tediosa.
L’oblio deve cadere su persone e fatti avvenuti, perché solo in questo modo, togliendo a un popolo la memoria di se stesso, questo diviene difatti orfano di radici e vuoto d’intenti. Condizioni perfette per tenerlo sotto scacco.
Aversa è una città media.»

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