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“Spektre: Fantasmi in Afghanistan” di William Marras Nash, un thriller che scava nella psiche umana

Il thriller di William Marras Nash si intitola “Spektre: Fantasmi in Afghanistan”. Edito da Aletti Editore, il libro, che continua sulla scia di successi dell’autore, promette di tenere i lettori sul filo del suspense con una trama intricata e colpi di scena mozzafiato. Ambientato sullo sfondo tumultuoso dell’Afghanistan post-2001, “Spektre” segue la storia di un gruppo di ex operatori speciali che diventano mercenari, lottando con i loro demoni interiori e le cicatrici lasciate dalle battaglie passate. Il protagonista, un ex paracadutista, è costretto a confrontarsi con il passato quando un misterioso parroco gli chiede di scrivere la storia di una confessione segreta che potrebbe cambiare il corso della storia. Nash, con una narrazione intensa e coinvolgente, esplora i temi della guerra, del sacrificio e della redenzione, trasportando i lettori in una realtà dove la linea tra il bene e il male è spesso sfumata. Il libro è arricchito da descrizioni dettagliate che catturano l’essenza del campo di battaglia e la complessità dei personaggi coinvolti.

Sinossi

Il libro “Spektre: Fantasmi in Afghanistan” narra la tormentata esperienza di William Verona, un veterano afflitto da disturbi post-traumatici, che cerca aiuto presso uno psicologo a Roma, il Dr. Antonio Gagliasso. Durante le sedute, Verona si apre raccontando la sua partecipazione a una missione segreta in Afghanistan nel 2010, dove ha affrontato eventi traumatici e scoperte sconvolgenti, tra cui la verità su Osama Bin Laden e le azioni di Bush riguardo l’Iraq. Descrive in dettaglio le operazioni di salvataggio di bambini usati come cavie in esperimenti su armi chimiche e l’eliminazione di una rete di traffico infantile. La narrazione alterna il presente delle sedute terapeutiche al passato degli eventi in Afghanistan, con intense descrizioni emotive delle scene di battaglia e delle conseguenze personali.

La storia si intensifica quando Verona scopre che il suo psicologo, Gagliasso, è in realtà un criminale legato agli orrori che ha combattuto. Verona lo elimina, simulando un suicidio, e poi cancella ogni traccia delle sue sedute dallo studio del dottore. La narrazione si conclude con Verona che promette di tornare un giorno per la segretaria con cui ha instaurato un legame affettivo.

Sign. Nash, può parlarci del suo ultimo lavoro editoriale?
“Questo mio ultimo scritto è particolarmente importante per me perché riguarda la trascrizione romanzata, ma rimasta praticamente del tutto fedele alla realtà, di una testimonianza che mi è stata direttamente tramandata dal protagonista che ha vissuto questa incredibile quanto terribile storia. Un uomo che non potendosi esporre perché operava in territori dove non avrebbe mai dovuto essere, ha avuto la fortuna di incontrarmi come io ho avuto la fortuna e l’onore d’incontrare lui.
Rimasto anonimo anche a me e non permettendomi nemmeno d’informarlo che il primo capitolo fosse uscito, mi ha chiesto se me la fossi sentita di ascoltare questa storia per poi trascriverla, facendomi garantire che nulla avrebbe mai potuto condurre qualcuno alla fonte di questa verità e così ho fatto. Ho accettato, ho ascoltato e man mano che i nostri incontri procedevano, mi rendevo conto di quanta normalità ci fosse in quell’uomo, di quanta normalità e sensibilità si nasconde dietro uomini fuori dal comune.
Questa visione introspettiva dell’uomo che, davanti a me, parlava di come con la sua squadra sia arrivato a salvare centinaia di bambini dai terroristi in territorio afghano nel 2010/11 mi ha permesso di riuscire a descrivere il lato umano di uomini che siamo abituati dai film a vedere come macchine senza sentimenti e senza paura. Ed è proprio la trasmissione di questi sentimenti ed emozioni attraverso le parole che ho scritto che stanno colpendo così nel profondo i miei lettori. Inoltre mi ha confessato anche la scoperta di diverse verità che il mondo sospettava ma senza averne mai avuto conferma”.
Cos’è che la ispira a portare i pensieri sulla carta e quant’è importante per lei la scrittura? 
“Per me la scrittura è sempre stata fondamentale da prima ancora di scoprire che questo era il mio scopo. Già dai tempi della scuola i miei quaderni erano pieni di scritti in cui descrivevo i professori, trasformavo in storie i banali avvenimenti che potevano accadere in una classe delle elementari e i miei diari erano zeppi di note, sufficienze e piccoli pensieri che mi divertivo a trascrivere. Il mio primo scritto dedicato al “pubblico”, fu la descrizione della relazione tra mio padre e mia madre che portai come tema all’esame di terza media. I primi complimenti per un mio testo e nell’ambito scolastico in generale, arrivarono proprio dalla mia professoressa d’italiano sorpresa da quel tema.
Quello che più m’ispira nello scrivere ora che ho compreso sia la mia strada, è senza dubbio la soddisfazione nel sapere e avere certezza del fatto che sono in grado di far provare fortissime emozioni di ogni tipo a chi legge e vive le mie semplici parole. Ho detto semplici perché ho scoperto da poco che i miei lettori e le mie lettrici passano dai 16 anni agli ’84”.
Come mai la scelta di ambientare il libro in Afghanistan e cosa pensa al tal proposito di quanto sta accadendo al riguardo delle guerre? 
“L’ambiente non è stato scelto. Come dicevo prima, racconto una storia realmente accaduta sul territorio afghano quindi era inevitabile quest’ambientazione
Cosa penso delle guerre in corso? Beh, innanzitutto la cosa più ovvia e cioè che ogni guerra sia orribile, soprattutto quando la si vive e anche quando la si vive nei racconti di chi l’ha vissuta. Penso che possano cambiare gli uomini ma a non cambiare mai è proprio la guerra. Oggi si parla, come fossero novità, di guerre che si combattono da decine o centinaia di anni e credo che questo sia un sintomo evidente della perversione umana nello strumentalizzare, solo quando serve per un tornaconto, fatti terribili di morte e sangue anche infantile ma di cui nessuno sente più parlare dal momento in cui “qualcuno” ha raggiunto i suoi obiettivi sfruttando la popolarità di queste atrocità. E con “qualcuno” intendo ovviamente la politica. Ma questa è una delle verità scoperte che non ho esitato a trascrivere nel mio romanzo. E continuerò a farlo anche nel secondo capitolo”.
Come mai tra tanti generi ha scelto di rispecchiarsi nel thriller e qual è, secondo lei, la caratteristica che non deve mai mancare quando si scrive un thriller? 
“Nel thriller non deve mai mancare una cosa sola. Il break point, cioè un punto di rottura dove tutto si stravolge inaspettatamente e un secondo punto in cui, sempre inaspettatamente ci si avvia al finale. E il finale, nel genere di thriller che scrivo io senza averne mai trovati di simili, dev’essere creato dall’insieme di dettagli quasi invisibili che la mente del lettore comincia a raccogliere fin dalle prime pagine.
Il genere thriller è quello che mi sono trovato tra le mani. Non è stata una scelta ma, destino”.
“Spektre: fantasmi in Afghanistan”, non è il suo unico lavoro editoriale può parlarci degli altri? 
“Oh, non c’è molto da dire. Questo è il mio secondo libro ma il mio primo romanzo su cui ho davvero fatto sacrifici e su cui ho passato anni lavorandoci notti intere. Non è stato difficile, le parole fluivano e fruiscono tutt’ora come fosse una vocazione però ammetto che è stata davvero lunga. Ma ne è valsa la pena, ora sono uno scrittore a tempo pieno e amo questo lavoro.
La mia prima pubblicazione è stata “La tua guida al successo”, una guida motivazionale che scrissi più che altro per motivare me stesso”.
Come nasce la passione per la scrittura? 
“È nata insieme a me. L’ho sempre avuta anche quando ancora non lo sapevo. Probabilmente sono nato proprio per scrivere. E ho iniziato a scrivere per rinascere”.
Siamo nel 2001, quant’è cambiata quella zona in questi anni e quant’è cambiata invece l’Europa? 
“È una zona che è rimasta militarizzata ma stabile per vent’anni. Per quanto fosse “invasa”, gli stessi invasori mantenevano un equilibrio che quella nazione non è in grado di mantenere da sola e questo lo testimonia la situazione che c’è tutt’ora da quando la nato si è ritirata. Kabul è caduta in pochi giorni e oggi le donne hanno perso il diritto di parola in pubblico. Quindi, per quanto io sia contro la guerra, da quando questa è finita gli orrori perpetrati contro gli innocenti sono quintuplicati.
L’Europa se ne è sempre fregata a livello di popolazione. La guardava al cinema, ai TG ormai era normalità. Non è cambiata di certo per via del medio-oriente. Sono solo aumentate le procedure di sicurezza per evitare la possibilità di attentati”.
Un romanzo che va a porre l’attenzione anche sul passato. Quanto esso può influire sulle nostre scelte? 
“Il passato dovrebbe influire sulle nostre scelte, sono le nostre scelte che non ne subiscono l’influenza. Non abbiamo mai imparato nulla dalle esperienze dei nostri avi ma solamente dalle nostre esperienze dirette. Per questo ho imparato molto più dalla testimonianza che ho ricevuto piuttosto che dai libri di storia che, nonostante mi abbiano sempre appassionato, non ne abbiamo mai percepito le emozioni e quindi rimangono “sterili”. Eventi accaduti e basta. Questo è il motivo per cui voglio raccontare delle verità procurando forti emozioni che rimangano impresse in maniera indelebile, come se fossero state vissute personalmente dal lettore.
Se io descrivo il protagonista che mangia una bistecca, al lettore deve sparire la fame come se avesse la pancia piena. Ed è ciò che faccio”.
Ha in mente di scrivere altro? Se sì, su che tematica e ha intenzione di continuare a seguire il filo del “thriller”?
“Ho intenzione di passare la vita a scrivere. Per ora ci sono diverse opere in programma e di diverso genere oltre al thriller ma ora sono focalizzato sulla stesura della trilogia che riguarda la Spektre. Al momento sto lavorando al secondo capitolo che sarà ambientato in Congo. Sempre con colpi di scena e un fiume di emozioni in previsione”.
Quale dei personaggi l’ha messo maggiormente in difficoltà e qual è invece il protagonista che più le somiglia? 
“Come princìpi quello che più mi somiglia è proprio il protagonista principale. Quello che per descrivere al meglio ho dovuto praticamente interpretare e che mi ha preso al punto che la notte mi svegliavo di soprassalto perché facevo i suoi stessi incubi. A quel punto incurante di che ora fosse mi mettevo a scrivere, dato che il mood era perfetto per rendere le parole più efficienti possibile”.
Per quale motivo i lettori dovrebbero leggere il suo romanzo e quali sono i punti di forza di quest’ultimo? 
“Sono solito lasciar parlare i miei lettori del perché andrebbe letto, quindi risponderò a questa domanda utilizzando le loro parole e non le mie.
Senza dubbio andrebbe letto innanzitutto perché gli argomenti trattati vanno assolutamente conosciuti dal mondo intero. Andrebbe letto per la totale immersione nel personaggio che il lettore subisce sin dalle primissime pagine. Perché può sentire il profumo dell’ambiente descritto, la paura, il disgusto, la soddisfazione, la dolcezza dei bimbi salvati e anche, il tocco d’erotismo riguardante la storia d’amore che il protagonista vive al suo ritorno a casa”.
Se dovesse catturare l’attenzione di un lettore con una frase di un suo romanzo, quale sceglierebbe e per quale motivo?
“Una frase tra tutte quelle che mi sono state raccontate e che ho trascritto, descrive a pieno l’essenza di questi uomini:
“Esistono due tipi di cattivi. I cattivi giusti, e i cattivi e basta. Noi eravamo i cattivi che mandavano all’inferno i cattivi e basta.”
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