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NAPOLI – La distruzione rituale dei beni di valore (potlatch) nella “economia del dono” praticata da alcuni popoli nativi americani è la prima suggestione davanti al gioco di parole Fine del mondo del fine che dà il titolo alla personale che Luca Anzani terrà negli spazi del sarajevo supermarket dal 23 febbraio al 22 marzo.

Il titolo dell’allestimento è mutuato dall’omonimo racconto di Julio Cortazar in cui accade che tutti diventano scrittori e il pianeta viene sommerso da miliardi di volumi che nessuno leggerà mai. Nell’atmosfera surreale che si respira attraverso le parole del visionario scrittore argentino l’eccesso di produzione di libri senza fine e senza un fine travolgerà tutto e tutti tranne che (sic!) i detentori del potere.
Il potlatch rituale, a cui noi invece ci stiamo riferendo, non rappresentava solo la fine degli oggetti di prestigio, precedentemente prodotti, con la loro distruzione. Esso soprattutto innescava una più generale deflagrazione della logica del mezzo e del fine che è alla base del mondo del lavoro e della produzione. 
“Fine del mondo del fine” mette in mostra una serie di scatti a colori che Luca ha catturato in viaggio in Argentina. Esattamente alla fine del mondo. Esattamente un anno fa.
Le immagini che Luca ci “dona” non raccontano il viaggio. Sono fette di realtà. Dell’unico modo che ci resta per rappresentare la realtà: di un reale da decifrare, non codificato, sempre ambiguo. Le immagini che Luca ci dona (potlatch) sono scarnificate, già distrutte, “sacrificate” per la fine del fine, contro la logica del fine alla base del principio del lavoro e della produzione. Anche nelle arti. Non ci sono zone franche. Non si fanno prigionieri.
Nell’irreale racconto di Cortazar si accumulano libri che nessuno legge. Nel nostro quotidiano si accumulano immagini che nessuno guarda veramente. Fotografiamo di tutto, dal cibo che mangiamo alla cacca; dal sesso che facciamo al cucciolo di turno. E poi pubblichiamo tutto sui social, incessantemente. Affannosamente. Spasmodicamente. Trasformiamo il reale in iperreale, coprendo il reale con una “patina” superficiale, patina “predominante” e caratteristica della “società dell’immagine”. Lo scopo vero, spesso inconscio, è sempre lo stesso: falsificare la realtà.
Le immagini di Luca non falsificano, non ci ingannano. Non sono prodotte per tappezzare l’iperrealtà. Stanno lì per ricordarci che una possibilità di visione è ancora possibile.
Una visione in grado di conservare il segreto insito nell’immagine e, quindi, di stabilire un rapporto di intima complicità con il mondo.

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