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Napoli

Teatro di San Carlo Musica da Camera “Paganini e dintorni”

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È in programma domenica 16 ottobre alle ore 18 il penultimo Concerto da Camera della Stagione 21/22 del Teatro di San Carlo.
Protagonista l’ensemble d’archi composto dal Violino solista Gabriele Pieranunzi, Salvatore Lombardo e Loana Stratulat al Violino, Eduardo Pitone alla Viola, Pierluigi Sanarica al Violoncello e Alessandro Mariani al Contrabbasso, tutti professori d’Orchestra del Massimo napoletano.

Sei i brani di Niccolò Paganini in scaletta: Cantabile in la maggiore nella versione per violino e archi, due Sonatine in versione per tre violini dall’op.3: Sonatina in mi minore n. 6 e Sonatina in re maggiore n. 3; Mosè Fantasia, introduzione, tema e variazioni sulla preghiera “Dal tuo stellato soglio”, dal Mosè in Egitto di Rossini; Le streghe Introduzione, tema con variazioni e finale, dal Noce di Benevento di Süssmayr (versione per violino e archi); La campanella Rondò in si minore dal Concerto n. 2 op. 7 anche in questo caso nella versione per violino e archi. Saranno eseguiti anche Passacaglia per violino e viola, variazioni composte nel 1893 da Johan Halvorsen sulla celebre Passacaille numero 6 dalla Suite in sol minore HWV 432 di George Friederic Händel e Studi-Capricci per due violini n. 1 in sol minore di Henryk Wieniawski il più importante successore di Paganini.

GUIDA ALL’ASCOLTO
A cura di Dinko Fabris

«Per quanto sublime sia l’apice cui è giunto Paganini a condur l’arte di padroneggiar il suo strumento, ciò non varrà punto a giustificar l’ammirazione d’ognuno che lo ascolti. Ma la tecnica straordinaria d’un tanto Artista è infiammata dagl’interni affetti della sua anima. L’esecuzione delle sue Cantilene e de’ suoi Adagio è incantevole, sorprendente: ogni lor frase spèande una dolce emozione ed un affanno al profondo, da non lasciar giammai un ciglio asciutto… La dolcezza inesprimibile, la grazia del suo Cantabile, sono tanto più sorprendenti, in quanto che le sue corde sono assai sottili, né può quindi sperar di trarre dal suo Violino i suoni pieni, pastosi e robusti alla foggia di Spohr, di Baillot, di Rode» (da L’Arte Di Suonare il Violino di Nicolo Paganini. Qual Appendice a tutti i Metodi fin
qui conosciuti con un Trattato dei suoni armonici semplici e doppj. Dedicata a… Carlo Carli,
Milano, Ricordi, 1834).
Nel momento in cui usciva il Trattato sull’arte violinistica di Paganini, questi era già da tempo considerato il più grande virtuoso di violino del suo tempo, ma si cominciava evidentemente ad apprezzare anche la sua arte compositiva, che consegnava in forma scritta e riproducibile alcune delle caratteristiche che avevano letteralmente ipnotizzato il suo pubblico in tutta Europa: noteremo che una di tali qualità era proprio il “Cantabile”, termine che lo stesso Paganini aveva utilizzato per intitolare diverse delle sue composizioni.
L’enorme lascito musicale di Niccolò Paganini, centinaia di brani tra edizioni a stampa e soprattutto manoscritti, è stato più volte catalogato e studiato, ma restano molte ambiguità e confusioni, soprattutto per la capillare diffusione che ebbe la sua musica nelle versioni più diverse nel mercato editoriale di tutta Europa. Compagno abituale del violino era, soprattutto nel primo periodo, un altro strumento suonato da Paganini con uguale maestrìa, la chitarra. Proprio per violino e chitarra era stata originariamente pensata la raccolta di Sei Sonate op. 3, stampata a Milano nel 1819 dall’Editore Ricordi con la strana dedica “Alla Ragazza Eleonora”.
A parte il suo concittadino Camillo Sivori (1815-1894), che studiò con lui da bambino negli anni 1823-1824 e ne divenne poi erede e continuatore (in Inghilterra fu definito “Paganinetto”), Paganini non creò una vera scuola. Tuttavia influenzò fortemente i più straordinari virtuosi europei della generazione successiva, tra i quali il polacco Henryk Wieniawski, il quale incluse nei suoi Études-Caprices (opera pubblicata nel 1864) le celebri variazioni paganiniane su God Save the King, dimostrando di andare perfino oltre le difficoltà tecniche del suo maestro ideale. Le variazioni, durante tutto il Romanticismo, erano un must dell’arte violinistica e della musica da camera in generale. Un altro esempio di poco posteriore è la Passacaglia per violino e viola composta nel 1893 da Johan Halvorsen sulla celebre Passacaille numero 6 dalla Suite in sol minore HWV 432 di Georg Friedrich Händel. Un grande successo era stato raccolto dalla diffusione delle “variazioni di bravura”
composte da Paganini su un celebre tema del Mosè di Gioachino Rossini, dato in prima al Teatro di San Carlo nel 1818: la preghiera “Dal tuo stellato soglio”, aggiunta da Rossini nella ripresa, sempre al San Carlo, del 1819. Dunque un’operazione di ardita attualità. Il brano probabilmente più caratteristico del concerto odierno (la cui prima idea era nata in piena pandemia dall’esigenza di suonare assieme per esorcizzare il male) è ancora in forma di variazioni, scritte da Paganini nel 1813: Le streghe op. 8 su un tema tratto dal balletto cui Paganini aveva assistito alla Scala di Milano nel 1812, intitolato Il noce di Benevento di Franz Xaver Süssmayr, oggi ricordato soltanto per essere stato uno degli ultimi allievi di Mozart, ma che ebbe una discreta carriera anche come operista al suo tempo. Le variazioni, nella tonalità d’impianto di re maggiore, sono sette e vanno da un inizio Maestoso al Larghetto, poi Andantino per finire con un Allegretto. Naturalmente la scelta del soggetto delle streghe da parte di Paganini, già a quel tempo accompagnato ovunque da una fama demoniaca per le sue esibizioni quasi sovrannaturali e il suo aspetto fisico, ammantò la composizione di un’aura sulfurea e si stamparono litografie che accompagnavano la partitura dove l’autore era raffigurato
circondato da diavoli e fattucchiere. Nella seconda e nella terza variazione il compositore introdusse alcuni trucchi spettacolari, come la produzione simultanea di suoni con l’arco, il pizzicato delle dita e i suoni armonici, contribuendo ad esaltare ulteriormente il clima evocato dal titolo. Un uso analogo dei sussidi tecnici ai fini di esaltare le possibilità espressive nell’esecuzione virtuosistica è testimoniato infine dal Rondò “à la clochette”, da cui il titolo di Campanella, terzo e ultimo tempo del Concerto n. 2 in si minore per violino e orchestra op. 7 (MS. 48), in questa occasione riscritto per la formazione cameristica. Il ribattuto che da il nome a questa tecnica, molto usata anche nella chitarra coeva, viene ripetuto dagli archi, utilizzando anche in questo caso i suoni armonici e una vera campanella di metallo prescritta dalla partitura. Il brano impressionò i compositori romantici, come provano lo Studio n. 3 di Franz Liszt intitolato appunto La campanella, o il Walzer “à la Paganini” op. 11 di Johann Strauss padre. L’origine di questo concerto chiude coerentemente il nostro programma: fu infatti composto durante il soggiorno a Napoli del 1826 di Paganini. La prima esecuzione, prevista al Teatro di San Carlo, ebbe poi luogo in un altro teatro.

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