NAPOLI – Un futuro prossimo in cui i robot fanno la maggior parte dei lavori umani, la tendenza a curarsi da soli attraverso il dottor internet, l’allarmismo con cui ci si avvicina alle ricerche su eventi catastrofici come il rischio vulcanico. Sono la paura e la diffidenza ad aumentare la distanza tra comunità scientifica e cittadini,tra chi fa ricerca e la società civile, una distanza che tende ad aumentare in questi anni e su ccui la comunità scientifica si è interrogata a Napoli, nella due giorni di “Between Science and Society”, organizzata dall’Italian Istitute for the Future.
“Dobbiamo ragionare – spiega Roberto Paura -sulla governance del cambiamento scientifico tecnologico, l’idea tradizionale che basta comunicare i dati scientifici al pubblico colmi il bisogno di conoscenza è superato. Dal dibattito di Napoli è emersa la necessità di democratizzare il progresso, coinvolgendo i cittadini, rendendoli protagonisti di qualcosa che cambierà il loro futuro”. La diffidenza rispetto a chi lavora al progresso arriva spesso dalla paura ad esempio della disoccupazione tecnologica: “Secondo la società di consulenza manageriale McKinsey il 42% dei lavori in Europa sono già automatizzabili -spiega Paura – dobbiamo quindi capire come governare la preoccupazione del cittadino che pensa a un futuro distopico e inquietante, in cui i robot non lo aiutano ma magari si prendono i, lavoro dei loro figli. Lo stesso avviene sul cambiamento climatico, di cui i cittadini si sentono vittime. Abbiamo il dovere di portarli al centro”. Un umanesimo tecnologico che Between Science and Society vuole concretizzare con un percorso iniziato nei due giorni di Napoli: “Nell’Istituto – prosegue Paura – nascerà un Centre for Science and Society che proseguirà il percorso anche con workshop partecipativi, coinvolgendo associazioni civiche, studenti, semplici cittadini che vogliano partecipare”.
In questo è molto forte anche la necessità di combattere le fake news, mentre dalla due giorni è arrivata anche la notizia della nascita del Cicap Campania.Lotta dura alla disinformazione, dunque, anche su temi che riguardano la vita dei cittadini: “Nella mia esperienza di sismologo e vulcanologo – spiega Giuseppe De Natale dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia – la comunicazione corretta e costante con la popolazione esposta al rischio e’ fondamentale, anche se purtroppo spesso trascurata. Nella carenza di comunicazione, allignano le ‘fake news’, che in questo campo prendono la forma dell’allarmismo, del complottismo e della polemica sterile. Io mi occupo anche di energia geotermica e anche in questo campo, ancor più delicato perché coinvolge direttamente interessi economici ed industriali, fioccano purtroppo le ‘fake news’ catastrofiste in assenza di informazioni corrette, comprensibili e capillari”. Alcuni media statunitensi e inglesi stanno provando a ridurre la distanza tra cittadini e scienziati con un coinvolgimento diretto: “Il Los Angeles Times – Sergio Ferraris, direttore della rivista di Legambiente “Qualenergia.it” – ha pubblicato online un reportage sull’erosione costiera in California spiegando tutti i problemi e proponendo anche ai lettori un gioco in cui puoi fare l’amministratore pubblico e fronteggiare il problema dei quartieri che verranno distrutti rispettando gli interessi in gioco, il budget a disposizione, la vita dei cittadini. Questo crea empatia e consapevolezza”. La divulgatrice scientifica e membro dell’organizzazione di Between Science and Society Mirella Orsi sottolinea come: “A Napoli è partito un percorso perché la ricerca arrivi in maniera più costruttiva ai cittadini che diffidano degli scienziati, visti come qualcuno chiuso in una torre d’avorio, che parla in maniera incomprensibile e spesso è al servizio di qualche potere per un fine. E’ vero che gli scienziati a volte parlano un linguaggio che capiscono solo gli addetti ai lavori e serve adeguare questo linguaggio. Ma c’è anche il ruolo dei social che hanno appiattito l’autorevolezza: un fornaio e un medico specializzato sui social se parlano dello stesso argomento, come ad esempio i vaccini, hanno lo stesso risalto. Per questo va ripensata la comunicazione con nuovi modi di coinvolgimento della società e considerando se i modelli classici di comunicazione scientifica vadano ancora bene”.
Nel corso del convegno di Napoli sono stati portati alcuni esempi di scollamento tra i cittadini e la comunità scientifica come la tendenza crescente all’autocura: “E’ in aumento – spiega Barbara Saracino, dell’Università Federico Ii di Napoli – anche se non drasticamente ed è diffusa soprattutto tra e persone più istruite che tendono ad affidarsi al web e alla televisione. Contrariamente a quanto si crede lee trasmissioni scientifiche in tv reggono il passo e sono considerate più affidabili del web anche dai giovani. Il web è però una enorme cassa di risonanza visto che laa percentuale di persone in Italia che vorrebbe che i vaccini non fossero obbligatori è di circa il 5% (ma sul web le loro teorie hanno avuto una enorme risalto”.