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Tassa sulle bistecche? No, grazie

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Mentre in Italia viene rimandata di anno in anno l’entrata in vigore della famigerata sugar-tax, da qualche altra parte del mondo c’è chi porta avanti la tesi di tassare le bistecche. Promotore di questa campagna è il milionario e donatore laburista inglese Dale Vince. L’uomo chiede dal Regno Unito di introdurre una tassa sul consumo di bistecche allo scopo di scoraggiare il consumo di carne rossa.
Si continua così a remare contro quello che un tempo era considerato il simbolo della tavola dei benestanti. Sull’argomento interviene il professore Vincenzo Peretti della Federico II che sottolinea subito un aspetto fondamentale per la vicenda: “Non credo che tassare sia il metodo per far scegliere veramente alle persone di non mangiare carne. Tasse e divieti non hanno mai prodotto soluzioni concrete, inoltre chi sta proponendo questo non credo lo faccia esclusivamente per fini salutari”.

Ormai è noto che a creare problemi all’ambiente è ben altra cosa: “Meglio non incentivare con fondi pubblici gli allevamenti industriali, e promuovere filiere corte, che nel rispetto del benessere animale, puntino a sostenere le piccole e medie aziende zootecniche nazionali, importante presidio ambientale, a salvaguardia di biodiversità ed economia locale”.
Il professore Peretti sottolinea l’aspetto ambientale, quello che più degli altri è in sofferenza: “Che l’eccessivo consumo di carne proveniente da allevamenti intensivi improntati a un modello industriale sia un grave problema è dimostrato da numerosi studi e inchieste, in primis dalla Fao. Questi allevamenti impattano fortemente sugli ecosistemi a livello di emissioni di gas climalteranti, di inquinamento da reflui zootecnici, ma anche a causa dei mangimi a base di cereali e soia provenienti da monocolture responsabili di deforestazione e di impoverimento dei suoli”.

La soluzione è a portata di mano: “La mia idea -conclude- è che si debba consumare meno carne, di migliore qualità e sceglierla con responsabilità. Il consumo deve essere moderato, in linea con quanto le istituzioni sanitarie suggeriscono (ideale non andare oltre i 500 grammi a settimana) e soprattutto attento. Una carne di qualità è prodotta nel rispetto del benessere animale, dell’ambiente e della salute. Meglio scegliere tipologie diverse, per diminuire la pressione su determinate specie animali e favorire l’allevamento di altre. Carne di genetica locale, proveniente da allevamenti conservativi e sostenibili. Anche comprare tagli di carne diversi è una scelta consapevole (non esiste solo il filetto), che permette anche di mantenere alcune tradizioni della cucina del passato. Diffidate poi dei prezzi troppo bassi: una carne allevata in modo sostenibile non può costare poco e una gara al ribasso non è praticabile per gli allevatori”.

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