NAPOLI – Galenica sterile, galenica non sterile e vigilanza alle farmacie. Sono le tre aree di interesse selezionate quest’anno per il Laboratorio Interattivo per i Farmacisti Ospedalieri L.I.F.E, tra gli appuntamenti più attesi all’interno del XLV Congresso Nazionale SIFO, che si apre domani a Napoli presso gli spazi della Mostra d’Oltremare. Tra gli argomenti anche l’impatto del documento Annex 1 – relativo alla produzione di farmaci sterili – sulla pratica quotidiana, quindi sarà affrontata la tematica relativa all’attività di gap analysis, volta a determinare il divario esistente tra i propri standard e i requisiti previsti dalle norme e dalle linee guida vigenti. Inoltre il Lab L.I.F.E., come sempre, prevede esercitazioni pratiche sul campo, con percorsi a gruppi di simulazione attraverso visori e realtà virtuale sulla farmacia oncologica.
Al congresso Sifo torna L.I.F.E.
“Una ulteriore novità di quest’anno- fa sapere Davide Zanon, coordinatore Area Galenica e tesoriere SIFO – è che i colleghi durante il Laboratorio potranno cimentarsi con nuovissime tecnologie e strumentazioni all’avanguardia, alcune ancora non immesse sul mercato, che saranno eccezionalmente a loro disposizione. Tali tecnologie consentono di automatizzare alcuni processi produttivi tradizionali, tra cui la possibilità di creare dosaggi specifici per ogni paziente, ottimizzando l’efficacia del trattamento e riducendo il rischio di sovradosaggio o sottodosaggio. Tre, in particolare, le tecnologie che saranno sperimentate:
“La prima– spiega Zanon- è uno strumento in grado di fare dei ‘film‘, cioè delle pellicole – per intenderci – simili nell’aspetto al vecchio chewing-gum Brooklyn, ma ancora più sottili, che servono per veicolare farmaci. Questa tecnologia consente di ottenere degli strati sottili che possono essere applicati all’interno del cavo orale, sul palato o sulla guancia, con un rilascio immediato o prolungato del farmaco a seconda di quella che è la matrice che viene utilizzata; si tratta di film mucoadesivi, per cui non c’è necessità di masticarli”.
La seconda tecnologia è una stampante 3D “in grado di riprodurre in tre dimensioni quelle che sono delle forme solide, quindi da poter sempre somministrare per via orale o meno, performandole però all’esigenza del paziente in base al dosaggio- fa sapere l’esperto- alla forma e alle dimensioni più idonee alla somministrazione”. Il terzo strumento, infine, è un “particolare mixer che permette di ottenere delle soluzioni orali (sospensioni, emulsioni) grazie ad una particolare tecnologia che ha alle spalle, prevedendo direttamente l’utilizzo di forme per esempio solide per essere miscelate e veicolate in un sistema liquido”. Si tratta di “prototipi- sottolinea ancora Zanon- al momento l’unica tecnologia in commercio è la stampante 3D, anche se non ha ancora uno spoke così rilevante sul mercato. Tutte queste nuove strumentazioni, però, aprono le porte ad un aspetto innovativo che in un laboratorio potrebbe essere utile per risparmiare tempo, materiale e sostanza, oltre che per limitare il rischio nella manipolazione”.
Spazio, ancora, anche ad un laboratorio sulla comunicazione: si chiama ‘Medical Humanities: strumenti per le competenze comunicative e relazionali’ ed è incentrato sulla medicina narrativa. Spiega Daniela Scala, Coordinatrice dell’area Informazione Scientifica, Counseling e Farmacia Narrativa SIFO e dirigente farmacista dell’AORN Cardarelli di Napoli: “Ormai è noto come le parole possono contribuire all’efficacia delle cure. Se utilizzate e interpretate nel modo corretto, infatti, possono aiutare a rafforzare la relazione tra medico e paziente e soprattutto a determinare le strategie di cura migliori e a formulare una diagnosi più precisa. È attraverso la raccolta della narrazione orale (o scritta) del paziente che si costruisce il percorso di cura: la storia del paziente (il mondo della vita) va accolta e integrata con la narrazione ‘di quanti intervengono nella malattia e nel processo di cura’ (il mondo della medicina), il compito del professionista della salute infatti è di co-costruire una narrazione nuova, in cui le competenze scientifiche si intreccino e soprattutto si adattino all’esistenza della persona malata e dei suoi familiari”.
Nella storia che il professionista della salute narra al paziente, quest’ultimo può vedere riconosciute “le sue esigenze, i suoi pensieri, le sue paure, le sue speranze oppure può non trovare niente che lo riguardi- spiega la dottoressa Scala- può essere messo di fronte ad una narrazione, magari correttissima dal punto di vista scientifico, precisa nei minimi dettagli diagnostici e terapeutici, ma in cui il mondo della sua vita non c’è. L’impossibilità di riconoscersi nella storia che altri narrano di noi è dolorosa e può causare reazioni di rabbia, frustrazione, apatia, distacco. Inoltre, poiché la principale finalità di questa storia co-costruita è arrivare a proporre attività terapeutiche che siano sufficientemente significative per stimolare una cooperazione attiva da parte del paziente, è necessario comprendere insieme al paziente, come tali attività possano entrare nel suo futuro attraverso la prefigurazione di una nuova storia di sé. Una competenza comunicativa e relazionale si rende in generale sempre più necessaria in ogni ambito, non solo quello della salute”.
Secondo l’esperta, dunque, va superato il concetto per cui il paziente è soltanto una persona affetta da una patologia: “Noi professionisti della salute tendiamo a considerare il paziente unicamente nel suo ruolo di ‘malato’, quindi deve solo prendere i farmaci, bere l’acqua e seguire questa o quell’altra indicazione. Il paziente, però, non è solo un malato ma è madre o padre, moglie o marito, lavoratrice o lavoratore, figlia o figlio, ciascuno con i suoi obiettivi e sogni nella vita. Non tenere conto di questo- sottolinea la dottoressa Scala- significa non dare una terapia o una cura efficace. Il professionista, al contrario, deve accogliere il paziente con una postura narrativa, suggerendogli una terapia che sia la più consona al suo stile di vita e ai suoi desideri”.
Ma i professionisti della salute, di cui oggi è nota la carenza, hanno tempo per dedicarsi ad una medicina narrativa? “Anche pochi minuti possono essere impiegati in maniera narrativa- fa sapere ancora l’esperta- il problema è che ancora oggi manca una formazione su queste competenze, non ci sono insegnamenti in ambito universitario. Eppure ci sono tantissimi studi, anche internazionali, che dimostrano come una postura narrativa faccia bene alla salute del paziente. Al Cardarelli abbiamo condotto uno studio su questo, seguendo i pazienti del Centro dell’Ipertensione Arteriosa in due modalità diverse: un gruppo controllo che seguiva la routine e un gruppo intervento a cui in aggiunta alla routine c’era un intervento di counselling telefonico ogni 2 mesi per un anno. Nel gruppo intervento si è avuta una diminuzione statisticamente significativa della pressione arteriosa: non si tratta solo di ‘chiacchiere’, insomma- conclude Scala- con la medicina narrativa si raggiungono soddisfacenti risultati clinici”.