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Caso anestesisti, Scotti: “Medici non sono mercenari, ma non possono lavorare senza protezioni”

SCOTTI

NAPOLI – «Non si possono fare processi indiziari, né tantomeno sono ammissibili processi mediatici.

È evidente, viste le comunicazioni dei colleghi ospedalieri e territoriali, che le direzioni Generali si dovrebbero attivare più di quanto stanno facendo per reperire Dispositivi di protezione individuale adeguati per i medici che combattono a mani nude o con strumenti inadeguati.

E ferisce vedere in giro dirigenti non medici, anche di questa Regione, e politici di altre regioni, con mascherine che andrebbero date solo ai medici e infermieri in intensiva e a stretto contatto con pazienti COVID-19.

Oppure dichiarando nei sistemi interni la requisizione delle dotazioni nei distretti territoriali dei dispositivi per sopperire alla carenza negli ospedali COVID-19, facendo poi apparire dei mercenari dei giovani medici che da queste immagini e da queste situazioni ravvisano solo la totale insicurezza in cui li si vorrebbe far lavorare».

Silvestro Scotti, presidente dell’Ordine dei Medici di Napoli commenta così il caso dei 4 giovani rianimatori napoletani, finiti oggi alla ribalta della cronache.

«Come Ordine dei Medici – prosegue – noi richiediamo il massimo impegno deontologico e di assistenza a tutti i nostri iscritti che possa prevedere anche i massimi sacrifici. Ma non possiamo chiedere che i medici accettino nonostante consapevolezza di non essere adeguatamente protetti. Non ci servono eroi morti, ci servono medici ben protetti che possano salvare la vita dei pazienti contestualmente alla propria.

Troviamo indegno il clamore mediatico su questi argomenti e comportamenti, fatti da chi si è sempre speso per la riduzione delle aggressioni ai medici.

Da chi oggi non si rende conto che queste affermazioni non solo danneggiano la classe medica in toto, ma serviranno solo ad aizzare la popolazione nei confronti di medici dipinti tutti come mercenari. In una generalizzazione che li vede a lavoro per lucro e non per dedizione verso la loro professione.

Eppure i dati parlano e svelano la verità, lo dimostrano i morti e i positivi per Covid a vario livello di gravità che impattano su chi svolge questa professione sul campo non nella governance delle retrovie».

“Si faccia subito chiarezza su eventuali ritardi e sui criteri di distribuzione dei dispositivi di protezione individuale agli operatori sanitari e a tutto il personale coinvolto nelle attività di contrasto alla diffusione del coronavirus.

I quasi cinquemila operatori sanitari contagiati, il doppio della Cina, sono molto più di un segnale di allarme su un’errata impostazione dei sistemi di lavoro che devono contemplare in primis meccanismi adeguati per la tutela di medici, infermieri, tecnici di laboratorio e medici di famiglia.

Non possiamo più mandare al macello senza adeguate protezioni proprio le donne e gli uomini che devono combattere in prima linea per fermare il contagio”. Lo ha dichiarato Michela Rostan, vicepresidente della Commissione Affari sociali della Camera.

“Su ventidue decessi registrati finora – ha proseguito la deputata di Italia Viva – la metà sono medici di famiglia che, salvo alcune piccole operazioni spot, ancora non hanno ricevuto alcun presidio di protezione e continuano ad operare in tutta Italia in condizioni di pericolo inaccettabile per sé stessi e per i loro assistiti.

Il fatto poi che oltre la metà dei contagiati siano donne che lavorano negli ospedali, e che poi rientrano a casa a fine turno, è ulteriore prova che qualcosa non è andata per il verso giusto. Non possiamo sconfiggere il virus se sono proprio gli operatori sanitari a diffonderlo”.

“Ciò che sta avvenendo in Veneto con i tamponi obbligatori a tutti gli operatori sanitari – ha concluso Rostan – dai quali risulta un’alta presenza di casi positivi, deve essere replicato in tutte le regioni italiane.

E bisogna farlo subito. Non può essere ammissibile che i tamponi vengano fatti ai calciatori e non a chi quotidianamente lavora negli ospedali, nei presìdi medici, negli ambulatori, nei servizi di emergenza a stretto contatto con centinaia di persone ogni settimana.

Non è così che sconfiggeremo il virus”

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